Bartalucci (Infn): "Precariato sempre più diffuso tra ricercatori"
Roma, 2 nov. (Labitalia) - "Il mestiere del ricercatore oggi è molto diverso da quello di 30 anni fa. Il precariato sempre più diffuso e sempre più longevo è solo l'aspetto più macroscopico e preoccupante di questa trasformazione. La ricerca scientifica s'indirizza sempre di più verso settori molto specialistici, che richiedono professionalità e competenze sempre più orientate". Lo dice, in un'intervista a Labitalia Sergio Bartalucci, fisico ricercatore di staff presso i laboratori di Frascati dell'Istituto nazionale di fisica nucleare, con oltre 30 anni di esperienza nel settore della fisica nucleare, subnucleare e degli acceleratori di particelle. "La figura romantica dello scienziato creativo e visionario -ammette- non è più attuale, in un quadro in cui la ricerca s'incentra attorno a pochi grandi apparati o magari percorre gli spazi siderei con apparati piccoli ma estremamente complessi e sofisticati. Migliori prospettive avrà chi riesce a specializzarsi in qualche tecnologia di punta, che possa trovare concrete applicazioni anche nei settori industriali. In questo senso, purtroppo, l'università italiana non è assolutamente preparata, dovrebbe compiere un salto di qualità culturale, ma non ne ha la forza". "L'unica speranza -chiarisce- può venire dal 'coraggio', quello di rompere i rapporti con lo status quo, anche se questo scatenerà certo reazioni veementi in un mondo accademico abituato a cullarsi nell'immobilismo e nell'autoreferenzialità. Una drastica riforma degli enti di ricerca s'impone, così come l'indicazione di chiari obiettivi in un 'Piano scientifico nazionale', che possa costituire una direttiva semplice per tutta la r&s nazionale. La professionalità del ricercatore dovrà essere maggiormente valorizzata, con una forma di riconoscimento giuridico. Ma soprattutto occorrerà tornare a concepire e a realizzare progetti e infrastrutture di grande portata da situare sul territorio nazionale, perché solo così si può sperare di arginare la fuga dei cervelli e di ricostituire quel bagaglio di competenze ed esperienze che hanno permesso i successi del passato". "La ricerca fondamentale, rappresentata in Italia dall'Infn, è sicuramente -spiega Sergio Bartalucci- all'avanguardia mondiale, come dimostra l'importante contributo italiano alla recente scoperta del bosone di Higgs e alla rivelazione delle onde gravitazionali, benché poi sia mancato un adeguato riconoscimento internazionale (premi Nobel) al nostro Paese". "In altri settori -continua- la situazione è meno rosea, e ciò per una molteplicità di ragioni, che non si limitano solo all'entità modesta della spesa in ricerca o al basso numero di ricercatori, ma sono da individuare anche in una strutturazione troppo burocratizzata, dispersiva e inefficiente del comparto ricerca italiano e in un rapporto sempre difficile con il mondo produttivo". "Negli ultimi due anni -sottolinea- mi sono occupato di fusione termonucleare controllata a confinamento magnetico (progetto Ignitor), con particolare riguardo alla polarizzazione del combustibile nucleare come metodo per migliorare le prestazioni del reattore. Sfortunatamente il suddetto progetto, molto ambizioso in quanto mira alla dimostrazione della fattibilità pratica della fusione nucleare su larga scala, non è stato sostenuto convintamente dagli enti di ricerca italiani in esso coinvolti, né dai corrispondenti organismi europei ed è stato quindi definanziato e si trova attualmente in una fase di lento abbandono. Un'ennesima occasione perduta per il nostro Paese per puntare ad una leadership mondiale in campo energetico". "Il capitale umano -fa notare- formato dalle università italiane è di buon livello medio, tuttavia permangono elementi di disallineamento tra l'offerta e la richiesta delle imprese, come la mancanza di una formazione specialistica nel percorso universitario, di un rapporto stabile, istituzionale, tra l'università e l'impresa, e d'interlocutori stabili e preparati per interfacciarsi con le imprese. Difficile anche rapporto con gli enti di ricerca, limitato all'esecuzione di commesse d'interesse per l'ente e finanziate col denaro pubblico; le attività di trasferimento tecnologico quasi mai hanno dato luogo a nuove imprese stabilmente produttive". In relazione ai fondi europei, lo scienziato dice che "le performances italiane nella competizione per i fondi europei sono piuttosto deludenti". "In media il ritorno economico verso il nostro Paese ammonta a solo il 70% dei fondi devoluti all'Ue per la r&s. Quello che l'Italia ha 'perso' nell'arco del Settimo programma quadro equivale al finanziamento annuale degli enti di ricerca italiani. Oltre 2 miliardi di euro", osserva. "E questo -rimarca Sergio Bartalucci- non è andato a vantaggio della r&s europea nel suo complesso, ma solo a vantaggio di alcuni stati nazionali, che hanno ulteriormente rafforzato la loro posizione preminente in questo campo. Comunque, il rapporto ricerca-industria resta sempre difficile anche in Europa, dove la cultura d'impresa non è ancora riuscita a scalfire la mentalità accademica. Su questi temi ho pubblicato recentemente un saggio critico, 'Scienza e Tecnologia: che cosa ha fatto l'Europa?' per l'editore Aracne".