Una soffiata a "Libero": chi sarà il Ct della Nazionale del dopo-Conte
Il rumore della traversa colpita da Gigi Di Biagio, in Italia-Francia 3-4 (quarti di finale Mondiali 1998) è tra i suoni più spaventosi rimasti nella mente dei tifosi italiani. Sbagliò anche Albertini quel giorno, e gli azzurri furono eliminati dai cugini d'oltralpe, poi vincitori. Ma tutti ricordano quel rigore di Gigi, e quel suo accasciarsi a terra dopo quella straziante delusione: le mani al volto, la sensazione che la maglia azzurra fosse una maledizione. Ma Di Biagio è sempre stato un tipo tosto, e due anni dopo, all'Europeo del 2000, il rigore contro l'Olanda lo segnò. E si tolse dalle spalle un macigno. Chissà se in quel momento immaginava una carriera da allenatore. E nel caso, chissà se pensava di intraprenderla per una via traversa: quella della Nazionale. Di Biagio ha lasciato il calcio giocato nel 2007, quattro anni dopo è diventato allenatore dell'Under 20 azzurra. Nel 2013 si siede sulla panchina dell'Under 21. È la sua personale rampa di lancio, un impiego da lui stesso voluto fortemente, per crescere e far crescere, per plasmarsi e plasmare i giovani diamanti grezzi italiani. A 44 anni, il selezionatore degli azzurrini allena crescendo, o cresce allenando, e lo fa nell'ombra, lontano dai riflettori del campionato ma in simbiosi con gli ambienti di Coverciano. Lì, dove i tecnici vengono formati da Ulivieri, e dall'eredità del quadriennio in Figc di Sacchi (fino al 2014, come coordinatore tecnico delle nazionali giovanili). È Di Biagio il «tecnico federale» a cui fa riferimento Tavecchio, dal momento in cui sono partiti i casting per il dopo-Conte. Federale perché già sotto contratto con la Figc, ma anche perché è un profilo senza staff al seguito e ben disposto alla firma di un contratto biennale rinnovabile dopo ogni manifestazione. L'idea di Tavecchio infatti è quella di ridurre il budget per il tecnico dell'Italia, e di dirottare i soldi sulle strutture e sulla formazione dei calciatori. Un progetto ad ampio respiro, dunque, con un tecnico fidato e disponibile per molti anni. Lo è Di Biagio, che dalla sua ha anche l'eredità del recentissimo passato: lui ha lanciato la nuova generazione azzurra, da Rugani-Romagnoli, a Berardi e Bernardeschi. Le colonne portanti dell'Italia del futuro. È lo stesso presupposto con cui la nazionale maggiore (di Bearzot) fu affidata ad Azeglio Vicini nel 1986, dopo una decade in Under 21 dove passarono Zenga, Donadoni, Vialli e Mancini. L'Italia di Vicini conquistò due semifinali tra Euro 1988 e il Mondiale del '90, persa ai rigori con l'Argentina, ma da imbattuta. Dice lo scettico: a Di Biagio manca la stoffa. Però la sua gestione in U21 ha finora un buon bilancio: 14 vittorie, 5 pareggi e 6 sconfitte, con 46 gol fatti e 20 subiti. Ora gli azzurrini sono primi nel girone di qualificazione a Euro 2017, con 13 punti in 5 match, uno in più della Slovenia che però ha giocato una gara in più. Oggi Di Biagio può cominciare l'opera di persuasione nei confronti degli scettici nel match contro l'Irlanda (alle 19 su Rai 2): una vittoria ipotecherebbe la qualificazione. L'unica pecca della gestione Di Biagio in Under 21 è la mancata qualificazione a Rio 2016, anche se l'uscita nel girone di Euro 2015 era parzialmente giustificata dallo spessore delle avversarie (Svezia poi vincitrice e Portogallo 2°). Ma subito dopo Conte confermò il collega: «Per valutare gli allenatori non bisogna considerare solo i risultati». Un'investitura mascherata? di Claudio Savelli