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Nuovi dati sull'alirocumab dall'ODYSSEY OUTCOMES

Nuove analisi sulla mortalità dallo studio ODYSSEY OUTCOMES condotto su 18.924 pazienti sono state presentate al congresso dell'American Heart Association (AHA 2018) tenutosi la settimana scorsa a Chicago

Maria Rita Montebelli
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Un ulteriore tassello alla bontà di alirocumab è arrivato dal congresso dell'American Heart Association (AHA 2018) tenutosi la settimana scorsa a Chicago: il farmaco di Sanofi è risultato essere associato a un minor numero di decessi per tutte le cause in pazienti con recente sindrome coronarica acuta (infarto del miocardio o angina instabile) e ancora di più in pazienti trattati per almeno 3 anni o con livelli di LDL-C (colesterolo lipoproteico a bassa densità) al basale di almeno 100 mg/dL. Inoltre, ulteriori analisi hanno dimostrato un'associazione tra la riduzione degli eventi cardiovascolari non-fatali e la riduzione della mortalità non-cardiovascolare nel corso dello studio. "Ridurre il rischio di mortalità dei pazienti è una priorità chiave per i cardiologi. Alcuni di questi decessi potrebbero potenzialmente essere prevenuti, in particolare nei pazienti già considerati ad alto rischio perché hanno una storia pregressa di sindrome coronarica acuta - ha dichiarato Gregory G. Schwartz, MD, Ph.D., della University of Colorado School of Medicine ad Aurora, in Colorado (Stati Uniti) e co-chair del trial - In questo studio su quasi 19 mila pazienti, alirocumab è stato associato a un minor numero di decessi per qualsiasi causa, un'osservazione che è stata più pronunciata tra i pazienti trattati per almeno 3 anni o con LDL-C al basale di almeno 100 mg/dL”. Nello studio, Alirocumab in aggiunta al trattamento intensivo (o al livello di massima tollerabilità) con statine è stato confrontato con la sola terapia con statine alla massima dose tollerata nei pazienti con pregressa una sindrome coronarica acuta verificatasi nei 12 mesi precedenti. I dati pubblicati sul New England Journal of Medicine la scorsa settimana hanno dimostrato che Alirocumab riduce in modo significativo il rischio di eventi avversi cardiovascolari maggiori (MACE) ed è associato ad un minor rischio di mortalità per qualsiasi causa. Nelle analisi pre-specificate su 8.242 pazienti seguiti per almeno 3 anni, Il trattamento con Alirocumab è stato associato ad una riduzione del 22 per cento del rischio di morte per  tutte le cause. Inoltre le analisi post-hoc hanno mostrato che i pazienti trattati con Alirocumab i cui livelli basali di LDL-C erano pari o superiori a 100 mg/dl avevano un rischio inferiore del 29 per cento di morte per tutte le cause. In ulteriori analisi post-hoc i ricercatori hanno riscontrato che i pazienti trattati con Alirocumab hanno sviluppato meno eventi CV non fatali e hanno meno probabilità di morire in un evento non CV e che questi due risultati possono essere associati. “Il significato clinico di quanto dimostrato dallo Studio è altamente rilevante, tale da influenzare profondamente le scelte terapeutiche del cardiologo nella gestione quotidiana dei pazienti coronaropatici a rischio cardiovascolare molto alto. In una condizione ad altissimo rischio, come quella del paziente con‘profilo ODYSSEY OUTCOMES', il  clinico ha oggi l'opportunità di ridurre da subito le recidive di eventi ischemici, fatali e non fatali, e di incidere sulla sua sopravvivenza. Tutto questo mi porta a fare diverse considerazioni. Oltre al noto ‘quanto più basso è il colesterolo LDL meglio è' - che tra l'altro nello studio viene riformulato grazie al ragionato schema di gestione dei due dosaggi per indirizzare il clinico nella gestione e controllo della terapia nel tempo - ora altre due sfide: ‘tanto prima si comincia ad abbassare il colesterolo LDL tanto meglio è' e‘ tanto più a lungo si continua il trattamento tanti più benefici si osservano", ha commentato il professor Claudio Rapezzi, direttore Cardiologia Policlinico di Sant'Orsola e Università degli Studi di  Bologna. In merito ai dati sulla mortalità Rapezzi ha aggiunto: “Per quanto riguarda la mortalità, è la prima volta che la riduzione di mortalità globale viene documentata per un farmaco inibitore della PCSK9. Questa è la conseguenza sia del fatto che il disegno dello studio prevedeva una durata media del follow-up superiore a quella degli altri studi e che ha raggiunto i 5 anni per una quota dei pazienti arruolati,sia dello specifico meccanismo di azione del farmaco”. “I risultati dell'ODYSSEY OUTCOMES sono stati considerati nelle nuove-linee guida AHA/ACC 2018 per il trattamento dell'ipercolesterolemia - ha concluso il professor Rapezzi - Il clinico è nuovamente invitato a ragionare in termini di valori target di LDL-C e non più in termini di riduzione percentuale del valore basale e, in questo contesto, viene valorizzato l'approccio ‘dinamico' scelto da ODYSSEY OUTCOMES: se il paziente raggiunge valori di LDL-C < 25 mg/dL durante trattamento con un inibitore della PCSK9, il clinico può decidere o meno di ridurre l'intensità della terapia anti-dislipidemica, avendo fra l'altro a disposizione  due dosaggi del farmaco, perché ancora  rimane non nota la sicurezza a lungo termine di livelli così bassi di LDL-C”. Nelle analisi non è emerso alcun nuovo segnale di sicurezza. Nello studio ODYSSEY OUTCOMES, l'incidenza di eventi avversi è stata simile nei due gruppi, ad eccezione delle reazioni locali nel sito di iniezione (3,8 per cento nel gruppo Alirocumab rispetto al 2,1 per cento nel gruppo placebo). L'effetto di Alirocumab sulla morbilità e mortalità cardiovascolare è attualmente in fase di revisione da parte delle autorità regolatorie e non è stato ancora completamente valutato. I dati dello studio ODYSSEY OUTCOMES sono stati sottomessi alle autorità regolatorie in Europa e negli Stati Uniti, dove la Food and Drug and Administration (Fda) dovrebbe prendere una decisione il 28 aprile 2019. (EUGENIA SERMONTI)

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