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Assumere le ‘pillole cerebrali' peril potenziamento cognitivo

Realizzata la prima inchiesta italiana sul fenomeno. Le sostanze assunte sono legali, potenziano componenti della memoria e dell'apprendimento, migliorando così la funzione cerebrale in individui sani oltre il loro limite fisiologico

Maria Rita Montebelli
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Studenti, militari, piloti, medici e scienziati si trasformano in individui ad ‘alto funzionamento', capaci di scrivere o lavorare per 20 ore consecutive senza accusare fatica. In che modo? Assumendo pillole per il potenziamento cognitivo. È questa il nuovo fenomeno che si sta diffondendo in tutto il mondo, nelle università americane dal 7 al 25 per cento degli studenti percorre i corridoi con un portatile in mano e un blister di compresse nell'altra. A realizzare la prima inchiesta italiana su questo fenomeno è la giornalista medico scientifica Johann Rossi Mason, pubblicata in un libro dal titolo ‘Cervello senza limiti'. “Il potenziamento cognitivo (o brain enhancement come lo chiamano gli anglosassoni) é un fenomeno di cui abbiamo preso consapevolezza negli ultimi 10-15 anni - spiega Johann Rossi Mason - Era il 2007 quando mi sono imbattuta nell'articolo che ha scoperchiato questo vaso di Pandora: Barbara Sahakian e Morein-Zamir lanciano un sondaggio tra ricercatori e accademici che si diffonde in tutto il mondo e svela un utilizzo significativo di sostanze attive sul sistema nervoso centrale, i risultati si guadagnano la pubblicazione su ‘Nature'. Niente a che fare con quello che i ragazzini usano per lo sballo in discoteca o per allentare i freni inibitori e aumentare la capacità di socializzazione. Con queste sostanze ci vai in biblioteca, non in discoteca. Sono ricercate da soggetti ambiziosi, che vogliono spostare un po' più in là i propri limiti, essere più produttivi. Ma attenzione, chi crede che aiutino ad ottenere risultati brillanti senza sforzo rimarrà deluso e non aumentano nemmeno l'intelligenza. Sono come un additivo per motori già performanti, non una scorciatoia”. L'autrice ha spiegato che ha deciso di trattare questo argomento “tra il 2007 e il 2009. Ho raccolto e seguito le ricerche su questo fenomeno che mi aveva incuriosita, poi la vita mi ha portata ad accantonare il progetto, ma capivo che le ricerche andavano avanti, insieme ai dubbi etici, alle polemiche e alle maggiori conoscenze. Il dibattito che era sempre più maturo. Nel 2017 l'inchiesta premeva nella mia testa come un bambino che dovesse nascere, mi sono chiusa un mese in campagna, ho organizzato il materiale e ho scritto circa 11-12 ore al giorno. Ero motivata a firmare quella che è la prima inchiesta italiana sul potenziamento. Alla fine di agosto sono tornata con una sacca che conteneva il manoscritto”. Si tratta di sostanze legali, niente a che fare con gli stupefacenti, spesso si tratta di farmaci nati per curare patologie neurologiche come Disturbo da deficit dell'attenzione, narcolessia, Alzheimer che in soggetti sani hanno mostrato effetti desiderabili come aumento della capacità di attenzione e memoria, motivazione e diminuzione del senso della fatica. Rendono possibile studiare e lavorare meglio e più a lungo e sono entrate di diritto a far parte della ricerca scientifica che ne indaga gli effetti sulle persone sane e a lungo termine. Farmacologicamente, le sostanze che potenziano i componenti dei circuiti di memoria e apprendimento (dopamina, glutammato, noradrenalina) possono migliorare la funzione cerebrale in individui sani oltre il loro limite fisiologico. Queste permettono di alzare l'asticella un po' più in alto.Vengono chiamate anche ‘smartdrug': “In questo caso la definizione è impropria, quelle sono sostanze che dopo essere state analizzate e classificate possono essere dichiarate illegali e indicate nei nomenclatori dell'Istituto superiore di sanità, ma sino a quel momento circolano in un sottobosco senza regole. Negli Stati Uniti sono invece sostanze non sottoposte alla severa normativa della Food and drugadministrationche regolamenta i farmaci e quindi con questo termine vengono indicati integratori naturali o sintetici venduti singolarmente o in combinazione (i cosiddetti stack)”, prosegue l'autrice. Un sondaggio condotto all'Università di Oxford nel 2016 ha svelato che il 15,6 per cento degli studenti dell'ateneo ha assunto sostanze nootropiche (legali) anche senza prescrizione medica tanto da spingere l'università a organizzare dei laboratori informativi sul tema. E in Svizzera la ricercatrice Larissa Maier dell'università di Zurigo ha stimato con un'indagine che tra il 15 e il 20 per cento degli studenti ha provato a migliorare le sue performance scolastiche affidandosi a farmaci o alcol. In Italia non ci sono dati precisi, ma è stato appena lanciato un sondaggio online per indagare il fenomeno e quantificarlo. I risultati saranno diffusi tra qualche mese, appena si raggiungerà un campione significativo. Il sondaggio è disponibile sul sito www.cervellosenzalimiti.it. “Tutti vorrebbero un super cervello - spiega la giornalista - e la prima cosa che mi chiedono quando racconto l'argomento del libro è che tipo di sostanza assumere. Ovviamente non posso rispondere, consiglio di leggere il volume e capire quali sostanze o combinazioni di integratori potrebbero fare al caso loro e offro consigli per provare senza rischi, è il mio compito di divulgatore scientifico, informare correttamente. Le persone soffrono i vuoti di memoria che attribuiscono inevitabilmente all'avanzare dell'età, e vorrebbero combattere la fatica. Le sostanze nootropiche (integratori o farmaci) aiutano, ma non fanno miracoli. I primi possono essere assunti anche per periodi prolungati, mentre sui farmaci è necessaria maggiore cautela, non ci sono infatti studi sull'uso a lungo termine”. No assoluto invece all'assunzione da parte di ragazzini sino a 18-20 anni: il cervello è ancora in formazione e non è possibile sapere quali effetti possono sortire in una fase evolutiva così delicata. “Non è facile procurarseli perché i farmaci di cui parliamo sono con obbligo di ricetta medica e siccome non è possibile ottenerla per un uso sui sani le persone si rivolgono al mercato nero o al web. I rischi sono notevoli: dal pagare per ricevere farmaci che non contengono affatto quel principio attivo, sino al rischio di assumere un farmaco contraffatto che contiene sostanze pericolose”. (ANNA CAPASSO)

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