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Tumore del fegato: è in arrivo lenvatinib, farmaco innovativo

Da sin.: Giordano Beretta, Antonio Gasbarrini e Stefania Gori

Oltre 12 mila nuovi casi l'anno, in aumento tra le donne (+21 per cento in 5 anni) e in lieve flessione tra gli uomini (- 7,5 per cento dal 2014 al 2019). E per la prima volta nell'ultimo decennio è in arrivo un nuovo farmaco

Maria Rita Montebelli
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Sono un esercito di 400 mila persone, gli italiani che vivono con la cirrosi, una grave malattia del fegato causata dalle infezioni da virus dell'epatite B (HBV), dell'epatite C (HCV), o da un abuso cronico di bevande alcoliche (soprattutto al Nord 1/3 dei casi riconosce questa causa) o – ed è una categoria in rapida crescita – dalla sindrome metabolica che causa la steatoepatite. Ogni anno, il 2-3 per cento di queste persone svilupperà quella che è la complicanza più grave della malattia, il tumore del fegato. E su 12.600 nuovi casi l'anno in Italia, 8.000 interessano i maschi e 4.600 le femmine. “Si parla poco di tumore del fegato – commenta il professor Giordano Beretta, da oggi nuovo presidente dell'Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) e responsabile dell'Oncologia Medica all'Humanitas Gavazzeni di Bergamo – nonostante sia il quinto big killer dopo polmone, colon-retto, mammella e pancreas, perché fino a qualche anno fa non avevamo particolari trattamenti da offrire a queste persone. Oggi è diverso. Accanto ai trattamenti tradizionali, abbiamo finalmente a disposizione dei farmaci innovativi”. “Il trattamento di questa condizione è complesso – sottolinea Stefania Gori, past president AIOM, presidente del XXI congresso nazionale AIOM e direttore dipartimento oncologico, IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria-Negrar – perché bisogna trattare il tumore senza sottovalutare il fatto che il paziente è affetto da un'altra patologia molto importante, l'epatopatia cronica. Pertanto bisogna cercare di essere il più incisivi possibile sulla neoplasia, cercando di non arrecare danno alla funzionalità epatica residua. Fino a circa 25 anni fa, l'unica opzione terapeutica era rappresentata dalla chirurgia, ma dagli inizi degli anni ‘90 sono state introdotte nella pratica clinica procedure mini-invasive quali la termoablazione e la chemio-embolizzazione. La chirurgia è indicata quando il tumore è localizzato, cioè non si è esteso al di fuori del fegato e il paziente presenta un buon compenso della funzione epatica. Tuttavia solo una piccola quota di pazienti rientra in questi criteri e può beneficiarne. Lo stesso discorso vale per il trapianto di fegato, che non può essere considerato una soluzione anche per il ridotto numero di organi a disposizione”. “Non possiamo dimenticare – prosegue il professor Beretta – che questi pazienti hanno una patologia di base molto seria, la cirrosi, che condiziona il funzionamento del fegato. In Italia in oltre il 90 per cento dei casi, l'epatocarcinoma si sviluppa in pazienti con cirrosi. Sia quest'ultima che il cancro possono restare silenti per lungo tempo; solo un'attenta sorveglianza dei pazienti con epatopatia (per tutti i pazienti con cirrosi epatica è consigliata una sorveglianza periodica ogni sei mesi con ecografia dell'addome per l'identificazione precoce della neoplasia) consente la diagnosi precoce di tumore epatico, condizione indispensabile per intervenire con i trattamenti più appropriati. Per tutte queste ragioni è fondamentale che gli oncologi stringano alleanze con gli esperti epatologi per creare dei team multidisciplinari. Questo servirà a selezionare le terapie più adatte per un determinato paziente ma anche a stabilire quando non è il caso di procedere ad alcun trattamento. Per molti di questi pazienti infatti la prognosi peggiore è quella per la cirrosi, anziché per il tumore”. “400 mila cirrotici sono un esercito – prosegue il professor Antonio Gasbarrini, direttore di Medicina interna e Gastroenterologia, Università Cattolica – Fondazione Policlinico Universitario ‘Agostino Gemelli' IRCCS di Roma – che non è destinato a diminuire per almeno i prossimi dieci anni, nonostante tutti i ragazzi siano ormai vaccinati contro l'epatite B. Anche i 200 mila pazienti con infezione da epatite C, che in questi anni sono stati eradicati, sono quasi tutti cirrotici, quindi ancora a rischio di sviluppare il tumore del fegato.  A questi andranno poi aggiunti coloro che arriveranno alla cirrosi dalla steato-epatite, dalla sindrome metabolica che sta mietendo vittime con la pandemia di obesità che interessa l'Europa e l'Italia in particolare. Sul fronte dei trattamenti, il trapianto di fegato resta ancora solo una speranza per molti; in Italia in un anno non si riesce a farne più di mille. Tutte le speranze di trattamento per il tumore del fegato sono dunque riposte, oltre che nei trattamenti tradizionali (resezione chirurgica, terapie loco-regionali), sui nuovi farmaci. Accanto al sorafenib, che è stato uno straordinario first in class, è adesso in arrivo il lenvatinib”. A dimostrare le grandi performance del lenvatinib è stato lo studio internazionale REFLECT, nel quale l'Italia ha fatto una grande parte. Il farmaco si è dimostrato ‘non inferiore' al sorafenib in termini di sopravvivenza complessiva (13,6 mesi contro i 12,3 mesi di sorafenib), ma è risultato ben più potente nella cosiddetta ‘risposta oggettiva', ovvero nella riduzione delle dimensioni della lesione tumorale. In oltre il 40 per cento dei trattati, questo farmaco ha prodotto una netta riduzione della progressione di malattia sul nodulo tumorale (contro il 12,4 per cento di sorafenib). Un beneficio enorme per i pazienti, anche sul piano psicologico. “Il lenvatinib – ricorda il professor Gasbarrini – in virtù della sua minore tossicità epatica, rispetto al sorafenib è meglio tollerato dai pazienti con cirrosi e può dunque essere utilizzato più a lungo. E' fondamentale tuttavia che questo farmaco venga gestito da un team di clinici con esperienza tanto nel trattamento della cirrosi che del tumore del fegato”. Il lenvatinib ha ricevuto nell'agosto 2018 l'approvazione da parte della Commissione europea per il trattamento di prima linea di pazienti adulti con carcinoma epatocellulare avanzato; a breve è attesa in Italia la rimborsabilità da parte dell'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFa). (MARIA RITA MONTEBELLI)

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