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Emicrania per 7 milioni d'italiani, una patologia sotto-diagnosticata

Chi soffre di emicrania, il 12 per cento della popolazione mondiale secondo l'OMS, vive male per i sintomi a volte invalidanti e anche per il mancato riconoscimento sociale. In Italia gli emicranici sotto-diagnosticati e mal curati

Maria Rita Montebelli
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Oltre 90 milioni nel mondo, almeno 7 milioni solo nel nostro Paese: tante sarebbero, secondo le stime dell'OMS, le persone che lottano contro l'emicrania, tra le prime patologie per prevalenza in tutto il genere umano. L'attacco emicranico, o cefalalgico, è una tempesta: quando il dolore arriva, improvviso, profondo e pulsante, e si cronicizza per giorni e mesi senza dare tregua. Il mondo esterno scompare e tutto si ferma per il paziente, chiuso nella sua sofferenza e in un vissuto costantemente proiettato sul dolore nell'attesa angosciante di una nuova crisi. Regna confusione sull'emicrania, percepita come disturbo o sintomo dagli stessi pazienti, quando è una patologia vera e propria: ignorata dall'opinione pubblica; sottovalutata, sotto-diagnosticata e mal curata. La patologia emicranica è negletta dagli stessi media che ne scrivono di rado mentre internet lancia notizie negative, diffonde cure inesistenti, peggio, pericolose o inutili per la salute dei pazienti.   Chiarire i dubbi, spiegare esattamente cos'è l'emicrania, quali sono i meccanismi patogenetici che scatenano l'attacco cefalalgico e quali terapie sono disponibili oggi, ma anche approfondire il punto di vista dei pazienti, a chi si rivolgono, come vivono e come percepiscono la loro malattia, è lo scopo del Corso di Formazione Professionale per i giornalisti ‘Non è solo un mal di testa. Il caso emicrania, tra sottovalutazione e fake news', promosso a Milano dal Master SGP ‘La Scienza nella Pratica Giornalistica' della Sapienza Università di Roma con il contributo non condizionante di Lilly. «L'emicrania rimane una malattia misconosciuta e sottotrattata a dispetto di una disabilità tanto grave e costi enormi. È una forma di cefalea idiopatica ricorrente, che si manifesta con attacchi della durata di 4-72 ore – afferma Pietro Cortelli, professore ordinario di Neurologia, IRCCS Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna – caratteristiche cliniche di questa patologia sono la localizzazione unilaterale del capo, dolore pulsante, intensità media o forte, aggravamento con le attività quotidiane e associazione di nausea, vomito, fastidio al rumore e alla luce. In Italia la prevalenza è del 9 per cento tra i maschi, quasi quadrupla nelle femmine. Il costo annuale dell'emicrania nel nostro Paese è di 20 miliardi di euro». Mai nessuna distinzione è stata fatta in maniera seria e corretta tra il comune mal di testa, che colpisce tutti almeno una volta nella vita e che si risolve spontaneamente con il riposo o un'ora di sonno, e l'emicrania che sconvolge la vita di chi ne soffre. L'emicranico vive male sia per la enorme sofferenza fisica che si accompagna all'attacco cefalalgico acuto sia per la disabilità che ne deriva ma anche per il mancato riconoscimento sociale dell'emicrania, come malattia vera e propria, grave e invalidante, responsabile di un ulteriore aggravamento del vissuto dei pazienti. Una patologia invisibile, che secondo l'OMS è la seconda malattia più disabilitante del genere umano. «Il nostro attacco emicranico nell'immaginario collettivo è stato condizionato moltissimo da quello che esce sui giornali, in televisione o sul web – dichiara Lara Merighi di AL. Ce Italia, Alleanza Cefalalgici – noi emicranici siamo considerati persone deboli che non sanno gestire la loro vita mentre siamo individui sensibili, lavoratori instancabili armati di coraggio e ci sentiamo inutili quando il dolore ci paralizza. Abbiamo un cuore che batte nella testa in modo quasi incessante con un dolore che dà sofferenze talmente enormi da tanto di quel tempo che a volte preferiamo l'oscurità alla luce». L'emicrania è donna: il rapporto di prevalenza è 3:1 rispetto agli uomini e il vissuto di genere negli emicranici è ancora più drammatico. Tuttavia gli stessi pazienti riconoscono di essere poco informati sulla propria malattia, denunciano una sottovalutazione sociale del loro grave problema, manca un diffuso accesso ai servizi specialistici che porta sovente all'autoprescrizione fino all'abuso e alla cronicizzazione dell'emicrania da iper-uso di farmaci da banco, in particolare analgesici. Ma soprattutto è la vita quotidiana che viene sconvolta dall'emicrania. È quanto emerge dalla ricerca del Censis ‘Vivere con l'emicrania'. «Il dato più rilevante della ricerca è la denuncia da parte dei pazienti di una sottovalutazione sociale dell'emicrania che li spinge a ritirarsi anche dalla vita di relazione – dice Ketty Vaccaro, Responsabile Area Welfare e Salute Censis – esiste una sorta di condizionamento molto forte di tutte le attività del vivere quotidiano che rendono la vita di questi malati veramente difficile. I pazienti diventano riluttanti a parlare del proprio problema all'esterno, in famiglia con il partner e i figli tutto si complica, salta l'equilibrio di coppia e l'intimità, si rinuncia e ci si rassegna e si finisce con il convincersi che è necessario cambiare vita, che non si è capaci di gestire il proprio disturbo né la propria esistenza. Da tutto ciò derivano diagnosi tardive, spasmodiche ricerche per trovare lo specialista (neurologo) che sappia gestire i trattamenti, grande utilizzo di farmaci da banco e di terapie alternative, l'isolamento. Inoltre, tutto ciò ha un impatto economico indicibile». Esiste indubbiamente un gap culturale che porta alla sottovalutazione dei sintomi, alla sottodiagnosi e ad una erronea gestione della patologia emicranica. L'emicrania deve uscire dal cono d'ombra nel quale è relegata, questo richiede l'impegno dei pazienti, dei clinici, della ricerca, delle istituzioni e dei media. Strano a dirsi ma dell'emicrania si conosce moltissimo, tanto noti sono i suoi meccanismi patogenetici quanto negletta è la malattia nella quotidianità. Adesso, dopo quasi venti anni dall'ingresso dei triptani, una svolta nei trattamenti potrebbe cambiare la storia naturale dell'emicrania. Da pochi mesi è arrivata una nuova classe di farmaci, i primi anticorpi monoclonali anti-CGRP per la prevenzione dell'attacco cefalalgico acuto. «Gli anticorpi monoclonali anti-CGRP, che vengono somministrati mensilmente per via sottocutanea, si utilizzano nella terapia di profilassi, per prevenire l'attacco acuto – spiega Elio Clemente Agostoni, direttore Dipartimento di Neuroscienze e Niguarda Neuro Center, ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda di Milano e Presidente ANIRCEF – Si tratta di farmaci che sono diretti contro la proteina CGRP, un potente vasodilatatore che è uno dei responsabili della patologia emicranica. Gli anticorpi monoclonali bloccano il legame del CGRP sul suo recettore inibendo la dilatazione vasale e l'infiammazione. Gli studi clinici hanno dimostrato una molto significativa efficacia nel dimezzare o in molti casi azzerare le crisi cefalalgiche, una buona tolleranza e un buon profilo di sicurezza. L'emicrania è una malattia che deve essere curata anche perché oltre all'impatto economico, stravolge la vita delle persone. Questi farmaci per la prima volta potrebbero modificare la storia naturale dell'emicrania». (EUGENIA SERMONTI)

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