Cardiologia, il difetto genetico che dimezza il rischio d'infarto
Una scoperta relativa alla mutazione di un gene che potrebbe comportare una significativa novità per la medicina. Si tratta di un difetto "anti-infarto" che tra gli "effetti collaterali" ha quello di dimezzare il rischio d'infarto per il cuore di chi è portatore della fortunata anomalia cardiaca, che in media si manifesta in un individuo ogni 650 persone. E' il risultato di uno studio condotto dalla Washington University School of Medicine a St. Louis, in collaborazione con il Broad Institute presso il prestigioso Massachusetts Institute of Technology e la Harvard University di Boston. Lo studio - Il difetto anti-infarto, infatti, rende inattivo il gene, che produce una proteina la quale assorbe e trattiene il colesterolo presente nei cibi. Attraverso lo studio del genoma, condotto su 113.000 persone, gli esperti hanno trovato un gruppo di soggetti che aveva livelli di colesterolo mediamente più bassi e con un rischio di infarto dimezzato. In questi è stato riscontrato il difetto in questione per almeno una delle copie del gene. In poche parole, come spiega Nathan Stitziel, uno degli autori della ricerca pubblicata sul New England Journal of Medicine, "tutti abbiamo due copie della maggior parte dei geni, una per ciascun genitore. Quando una delle due non funziona, è un po' come prendere un farmaco per tutta la vita che inibisce quel gene". Farmaco affine- Esiste un medicinale basato sul principio attivo ezetimibe che abbassa i livelli di colesterolo "cattivo" LDL nel sangue, impedendone l'assorbimento dai cibi a livello intestinale. Il farmaco agisce proprio inibendo l'azione di una proteina chiamata NPC1L1. Sulla base della nuova scoperta, gli studiosi hanno avviato una nuova ricerca per capire se anche questo farmaco possa, oltre a contenere il colesterolo, ridurre il rischio cardiaco, come la mutazione dimostra di poter fare. Scettici italiani - Secondo Elena Tremoli direttore scientifico del Centro Cardiologico Monzino IRCCS di Milano, il dato per ora non accerta nulla in quanto necessita di una conferma su più vasta scala. "Non è la prima volta - ricorda Tremoli - che una mutazione di un gene porta benefici simili. Già uno studio del 2007 sul gene PCSK9, che a sua volta promuove la distruzione del colesterolo, aveva misurato una diminuzione del rischio cardiovascolare nei soggetti testati dal 47% all' 88%". Quindi la dottoressa invita a non abbassare la guardia sul colesterolo e sulle proteine che ne regolano l'assorbimento.