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Con la nuova legge Ue diventeranno "made in Italy" alimenti fatti con ingredienti stranieri

Cristina Agostini
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Il nuovo ministro delle Politiche Agricole Teresa Bellanova, appena insediata, ha annunciato che interverrà su uno degli aspetti più critici del nostro agroalimentare: l'etichettatura d'origine, per valorizzare i cibi made in Italy. Ma lo scenario in cui potrà avvenire questo intervento è a dir poco problematico. La Commissione Ue ha appena bocciato le nuove norme sull'origine obbligatoria in etichetta contenute nella legge Semplificazioni, approvata a febbraio. E lo ha fatto nella maniera peggiore, minacciando l'apertura di una «procedura d'infrazione». La situazione è molto più complessa di quel che si potrebbe pensare. Il primo aprile 2020 entrerà in vigore il nuovo regolamento Ue numero 775 del 2018, destinato a regolare proprio la dichiarazione d' origine dell'ingrediente primario nei cibi, ad esempio il latte per i formaggi e il grano duro per la pasta. Le disposizioni contenute nel Regolamento sono però diaboliche. Intanto perché l'obbligo di esplicitare la provenienza scatterà solamente per i cibi che si dichiarino «made in Italy» oppure inseriscano sulla confezione il tricolore. In tutti gli altri casi il produttore potrà tacere la vera origine delle materie prime impiegate. Non basta: qualora si configuri l'obbligo, lo si potrà assolvere con un generico: «origine Ue», o ancora peggio «Ue e non Ue», espressione che equivale a dire «pianeta Terra», come segnala con preoccupazione l' avvocato Dario Dongo, uno dei massimi esperti di legislazione alimentare europea. ORIGINE PIANETA TERRA  - Dunque potranno esserci alimenti presentati come «prodotti italiani», ma confezionati con materie prime importate dai cinque continenti, per i quali il produttore comunicherà ai consumatori che gli ingredienti arrivano dalla Terra e non da Marte né da Saturno. Sempre che l' acquirente si prenda la briga di accertarlo, leggendo l'etichetta scritta in caratteri poco più che microscopici e non si fermi al tricolore o al «Made in Italy» sfoggiati con grande evidenza vicino alla marca o alla denominazione di vendita. Da mesi segnalo queste incongruenze che la Ue ha introdotto per assecondare le lobby dei grandi trasformatori europei e pure italiani. Prendo atto con soddisfazione che pure la Coldiretti, dopo aver suonato la grancassa quando sono state approvate le norme poi silurate da Bruxelles - ma silente sulla loro bocciatura - ora denunci i pericoli contenuti nel nuovo Regolamento europeo. Da qualche giorno sui social media, la Fondazione Campagna Amica, un' emanazione di Coldiretti, rilancia l' appello a sottoscrivere la petizione «Stop cibo anonimo» (accessibile su Eatoriginal.eu), chiedendo di non far approvare la legge che lo renderebbe tale. In realtà non c' è nulla da approvare. Lo prevede già il Regolamento 775 la cui entrata in vigore è stata fissata da tempo: 1° aprile 2020. E in effetti temo che la sottoscrizione pubblica lanciata da Coldiretti assieme a Solidarnosc (Polonia), Upa (piccoli coltivatori spagnoli), Ocu (consumatori spagnoli) e Fnsea (maggior sindacato agricolo francese), sia l' unico modo per stoppare il cibo anonimo. La raccolta di firme si conclude il 2 ottobre e sul milione richiesto ne mancano più di 100mila. di Attilio Barbieri

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