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Pregliasco & Co, i virologi con la scimmia della gloria tv: il vaiolo li scatena

Pietro Senaldi
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Il vaiolo delle scimmie mette in agitazione i virologi. Quasi li eccita, si sentono ringiovaniti di cinque anni, sognano di tornare alla ribalta: inviti televisivi, conferenze, libri, consigli su come vivere, frasi che diventano subito legge, neanche fossero pronunciate da un re biblico.  «Pandemia, ora che vai via, che ci faccio con la rosolia? Pandemia, se te ne vai via, lavo i piatti in qualche pizzeria...» cantava Checco Zalone a Sanremo nel 2022, quando il virus se ne stava andando ma in compenso arrivava il Green-Pass, nei panni di Oronzo Carrisi, infettivologo immaginario diventato grazie al Covid improvvisamente più famoso del cugino Al Bano. Ma tranquilli, finché c’è epidemia, c’è speranza.

Così i mezzi busti televisivi in camice bianco dei tempi del Corona-virus sono riapparsi improvvisamente per discettare, dopo che uno svedese è tornato dal Congo con l’M-pox, variante Clade 1, alias vaiolo delle scimmie e l’Organizzazione Mondiale della Sanità lo ha dichiarato «emergenza pubblica internazionale» e ha lanciato i primi alert: non sottovalutare l’emergenza, perché questa variante sarebbe più pericolosa della precedente, rafforzare i vaccini e non discriminare.

 

 

Non aspettavano altro, i nostri eroi. Tutto ritorna ma tutto è anche dimenticato: come il fatto che l’Oms, con la giustificazione del caos globale, cinque anni fa ha sbagliato parecchio sul virus, prima dichiarando l’emergenza globale a marzo inoltrato, quando l’Italia era già in lockdown da due settimane, poi boicottando i test, anche in presenza di polmonite bilaterale conclamata, a chiunque non fosse transitato dalla Cina. In realtà, in camera caritatis, gli esperti fanno sapere che l’M-pox può uccidere in Africa, dove le condizioni sanitarie sono drammatiche, in circa il 2% dei casi, ma che nell’Occidente super medicalizzato porta eruzioni cutanee, febbroni, cefalee e poco altro e il più delle volte se ne va da solo, come è venuto.

Tuttavia, per dirla con Zalone, «crolla il sogno, se nessuno ha più paura neppure a Codogno»; e perciò è ripartito il festival dell’allarmismo. Il redivivo Fabrizio Pregliasco parla di «preoccupazioni fondate e importanza di fermare la diffusione», l’eterno Matteo Bassetti, «senza allarmismi», ci fa sapere che «la Clade 1 colpisce anche i soggetti non a rischio» mentre la professoressa-scrittrice Ilaria Capua precisa che «è sbagliato parlare di vaiolo delle scimmie, perché non si sa bene quale sia il soggetto incubatore, più probabilmente un roditore». E dal Tavoliere, oltre a Oronzo Carrisi spunta anche Francesco Broccolo, dell’Università del Salento, a dirci che «bisogna aggiornare i test, perché attualmente la diagnosi si basa solo su criteri clinici». Nostalgia di tamponi ed esami molecolari...

A livello sanitario-mediatico, pare di essere ripiombati nell’inverno 2020, compresa la caccia al razzista: d’accordo, l’M-pox arriva dall’Africa, ma non è un buon motivo per sospettare dei neri, si preoccupa di specificare l’Oms, visto che uno degli effetti collaterali della pandemia è portare i medici a pontificare anche di altro, dalla politica, all’organizzazione della società, ai valori etici. La prevenzione e l’accortezza diventano così razzismo conclamato, come ai tempi delle campagne del Pd e dei loro sindaci, che dieci giorni prima di rinchiuderci in casa, impedendoci di vedere genitori e figli se non conviventi, invitavano tutti ad «abbracciare un cinese». E se i governatori leghisti di Lombardia, Veneto e Friuli Venezia-Giulia si permettevano di fare una conferenza stampa per chiedere di tenere in quarantena non i cinesi ma tutti coloro che arrivavano dalla Cina, venivano attaccati pubblicamente come fossero le nuove SS.

Comunque coraggio, in caso dovesse scattare davvero una nuova emergenza, la situazione sarebbe nettamente migliore rispetto a cinque anni fa. Giuseppe Conte non è più a Palazzo Chigi, di Domenico Arcuri si sono perse le tracce, l’ex ministro Roberto Speranza è tornato al posto che gli compete, cioè nelle retrovie, e Nicola Zingaretti è emigrato a Bruxelles, quindi non verrà più a Milano a caccia di cinesi con cui far l’aperitivo per contagiarsi sotto l’occhio vigile del sindaco Beppe Sala.

Ma soprattutto, per il vaiolo delle scimmie c’è già il vaccino, che peraltro il personale delle organizzazioni umanitarie operanti in Africa ha già richiesto. Il siero è testato, funziona e c’è una casistica ampia e condivisa sui suoi effetti collaterali. Con la conseguenza che il giro d’affari sarebbe di gran lunga più limitato rispetto alla profilassi anti-Covid e non potremmo rivedere Ursula von der Leyen indagata per i prezzi gonfiati imposti alla Ue dalle case farmaceutiche. Vogliamo allora scommettere che il vaiolo delle scimmie non sarà un nuovo corona-virus?

 

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