Emma Mazzenga, la scienza studia la nonna sprint di 92 anni

di Claudia Osmettigiovedì 28 agosto 2025
Emma Mazzenga, la scienza studia la nonna sprint di 92 anni

4' di lettura

«Guardi, segreti non ce ne sono. Ho vissuto la mia vita. Ho fatto quello che mi piace fare, cioè correre, e poi ho avuto la mia famiglia, con il marito e i miei figli.
Come tutte le persone. Tutto qui».

“Tutto qui”, per Emma Maria Mazzenga, sono 115 titoli italiani, 31 europei, undici mondiali e quattro record planetari (due dei quali recentissimi). Niente male per una signora alta un metro e 55 centimetri, che ha fatto l’insegnante fino al 1994 e che, da poco, ha iniziato a interessare la scienza: nel senso che c’è un team italo-americano che la sta studiando perché, piccolo particolare, questa velocista padovana che ci invidiano anche negli Usa ha 92 anni (e l’ultimo risultato sul campo l’ha ottenuto l’anno scorso, quando ha coperto i 200 metri indoor in 51.47 secondi, battendo il guinness degli over90 che era di 54.47 e che aveva fatto lei stessa qualche mese prima).

L’università di Pavia, assieme a quella di Milwaukee, nel Wisconsin, le ha prelevato un piccolo campione di muscoli, nervi e mitocondri, e ha scoperto che le sue fibre assomigliano a quelle di una persona sana con vent’anni di meno, e che il suo flusso sanguigno è proprio quello di una 20enne. Ma la prima cosa che ti chiedi quando ti risponde al telefono è se hai fatto il numero giusto: la voce non è quella di una signora classe 1933 che ha visto la monarchia, la prima repubblica, la seconda e, nel frattempo, continua a correre. «Sì, sono proprio io» conferma lei, pacata e gentile come quelle persone di una volta che non hanno bisogno di dimostrare niente, che non cercano la notorietà a ogni costo e che la vita l’assaporano in ogni istante. «Cerco solo di mantenermi attiva», minimizza, «ho letto una volta, non so quale autore l’abbia detto, che si può vivere o vegetare. Ecco, io vorrei vivere e non vegetare».

Signora Emma, la definizione calza. Come ci riesce? 
«A me piace correre, mi piace fare le gare. Il fisico mi ha aiutato finora. È andata così».
La fa semplice, se lo faccia dire da chi era una lumaca nella corsa campestre del liceo. Addirittura i ricercatori sono sbigottiti. Come la vive quest’attenzione scientifica? 
«L’anno scorso sono andata a Pavia perché il dottor Porcelli (Simone Porcelli, ndr), che è a capo della ricerca, mi ha chiesto se mi prestavo a questo studio e, naturalmente, l’ho fatto perché penso che sia giusto. É interessante vedere e frequentare queste persone, ho trovato un ambiente ottimo, di ragazzi giovani, ho fatto una serie di esami e questi sono i miei risultati. Dovrò tornarci a ottobre. Ma vede, io ho fatto la prof di scienze per parecchio tempo».
Si è trovata a suo agio? 
«Sì, certo. Sono laureata in Scienze biologiche, ho insegnato prima alle medie e gli ultimi vent’anni al liceo scientifico. Mi è piaciuto molto rimanere a contatto con i giovani. Poi quando sono andata in pensione (31 anni fa, ndr) ho avuto più tempo per dedicarmi alle mie attività».
È vero che durante la pandemia, quando riusciva, sgattaiolava fuori di casa per allenarsi? 
«Sì. Però deve capire che la questione è che io ho bisogno di fare dell’attività fisica. È proprio il mio fisico che me lo richiede. Anche in quel periodo del Covid ho fatto quel che potevo. È importantissimo».
Che cosa? 
«Cercare di avere degli interessi, inventarsi delle cose a cui dedicarsi e non stare chiusi in casa tutto il giorno».
Ma lei contro chi gareggia? 
«No, aspetti. Non è che si gareggia contro qualcuno, però quello è uno degli aspetti: io non ho nessuno nella mia categoria, ragion per cui devo guardare il risultato, il cronometro».
Sostanzialmente è una sfida continua con se stessa? 
«Diciamo che sì, il mio scopo è raggiungere dei buoni risultati relativamente alla mia età. Come è giusto che sia».
Ha ragione. Non la ferma proprio niente, eh? 
«Sono sincera, non lo so. Rispondo sempre così a chi me lo chiede: quando arrivi a novant’anni e passa non fai programmi. Io penso che finché posso continuerò a correre. Non so quanto continuerò a fare le gare, questo lo deciderò al momento: è anche un po’ scaramanzia, meglio non fare piani a lunga gittata».
Be’, in un certo senso, vale per chiunque. E invece nel breve periodo? 
«Ho delle gare a fine settembre a Catania e quelle penso di farle, se va tutto bene poi vediamo».
C’è qualche ricordo in particolare che tiene nel cuore? 
«A dire la verità i ricordi sono tanti. Sa, ho viaggiato molto, anche all’estero. Forse quello che mi ha emozionato di più è stato il campionato che ho vinto a Sacramento, negli Usa. Era la prima medaglia mondiale, era il 2011».
Direi che anche con la memoria se la cava benissimo, snocciola date senza problemi... 
«Le ricordo tutte, però non si faccia ingannare: la prima medaglia mondiale non si dimentica mai».
Anche questo è vero: almeno, lo immagino. In queste settimane sta avendo una certa notorietà, ha scritto di lei anche il Washington Post. Come ha reagito? 
«Sta succedendo tutto adesso, forse non me ne sto neanche rendendo conto del tutto. Però le dico la verità: siccome queste cose le faccio perché mi va di farle, e non le faccio con particolari finalità, sono venuti i risultati e va bene così. Questa popolarità è stata un di più. Non ho niente da fare, sono anche delle varianti alla routine quotidiana, mi rendono la vita meno monotona».
La sua famiglia cosa dice? 
«Ho due figli e un nipote. Secondo me sono contenti, soprattutto perché sto bene, perché faccio la mia vita autonoma. I risultati sportivi vengono dopo».
Mi faccia capire, anche se credo di intuire la risposta: per “vita autonoma” cosa intende? Vive da sola, fa tutto lei, non l’aiuta nessuno? 
«Sì, sì. Finché posso faccio tutto da me».