La scelta di TIME di nominare gli “Architects of AI” Persona dell’Anno non premia un concetto astratto, ma individui concreti: dirigenti, fondatori e scienziati che hanno trasformato l’intelligenza artificiale da promessa futuristica a infrastruttura quotidiana. È un riconoscimento che racconta più del potere che della tecnologia, come sottolinea Gianluigi Ballarani, esperto di AI e docente presso l’Università di Pavia :«Questa copertina racconta il potere più che la tecnologia stessa. Quando una rivista simbolo dell’establishment globale celebra i protagonisti dell’AI, implicitamente riconosce che oggi l’influenza non passa solo dalla politica, ma anche da chi decide come filtriamo informazioni e decisioni».
I numeri confermano quanto l’AI sia ormai parte della nostra realtà quotidiana: nel 2025 si stima che oltre il 78% delle aziende nel mondo utilizzi AI in almeno una funzione operativa, con una crescita rapida rispetto agli anni precedenti, soprattutto grazie alle applicazioni di generative AI e automazione. Oltre 378 milioni di persone usano strumenti di AI nel mondo, un pubblico che continua a espandersi anno dopo anno. In Italia, milioni di persone utilizzano piattaforme come ChatGPT, con una diffusione particolarmente significativa tra i giovani. «L’AI riflette il nostro tempo più di quanto lo trasformi», aggiunge Ballarani. «Non cambia l’umanità all’improvviso, ma rende evidenti tendenze già esistenti: rapidità, semplificazione e delega di alcune funzioni cognitive». Premiare chi costruisce l’AI significa anche parlare di responsabilità: le decisioni su come progettare, distribuire e finanziare questi sistemi non sono neutre. Quando producono benefici, qualcuno ne raccoglie i frutti; quando generano effetti collaterali, qualcuno deve risponderne. «La partita decisiva si giocherà sulla regolazione dell’attenzione», sottolinea l’esperto. «Non solo sull’automazione del lavoro, ma su cosa l’AI amplifica e normalizza nelle nostre vite». Un altro tema centrale è l’opacità del potere tecnologico: pochi nodi dominano l’accesso a dati e capacità computazionale, mentre la maggior parte degli utenti utilizza l’AI senza comprenderne i meccanismi profondi.
Nel racconto celebrativo spesso scompaiono annotatori, moderatori di dati e tutti i lavoratori che alimentano i sistemi di apprendimento automatico. «Se vogliamo governare davvero l’AI, dobbiamo guardare a tutti gli anelli della catena, non solo a chi sta in cima», conclude Ballarani. In un mondo in cui l’intelligenza artificiale permea l’ecosistema sociale, economico e culturale, la domanda fondamentale non riguarda più solo cosa l’AI può fare, ma quale società vogliamo che organizzi e come intendiamo gestire la responsabilità di chi la costruisce e la controlla.




