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Carne artificiale, ecco dieci motivi per non mangiarla

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Attilio Barbieri
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La campagna a favore della carne artificiale, abilmente pilotata da lobbisti a libro paga dei big del settore, si basa su numerose imprecisioni e altrettanto numerose bufale che media generalmente ben disposti hanno finito per accreditare acriticamente come verità assolute. Purtroppo nel serrato confronto sviluppatosi attorno ai cibi di laboratorio sul banco degli accusati sono finiti subito i dubbiosi, tacciati di oscurantismo e «passatismo» dagli entusiasti sostenitori dei novel food. È vero invece il contrario: a compiere un atto di fede, dicendo «sì» ai cibi artificiali, è chi punta il dito accusatore verso quanti avanzano dubbi sulla sicurezza dei nuovi alimenti. Sono loro a propalare le vere bufale. Ecco le 10 fake news più clamorose, indicate in neretto nel testo e smontate una per una.

1-Con la carne sintetica si azzera l’inquinamento prodotto dagli allevamenti e si dà un contributo decisivo al taglio delle emissioni climalteranti. Nulla di più falso. Anzi: c’è la prospettiva che sia vero esattamente il contrario. Secondo uno studio presentato la scorsa primavera dall’Università della California di Davis, mai confutato, il processo di produzione della carne artificiale nei bioreattori produce emissioni che sono da 4 a 22 volte maggiori rispetto a quelle generate dalla carne bovina naturale. Se poi si allarga il confronto a tutte le carni naturali attualmente disponibili sul mercato mondiale, le emissioni risultano addirittura da 10 a 50 volte superiori. La carne frutto del processo di replicazione cellulare è dunque infinitamente meno sostenibile di quella naturale.

 

 

 

2-Gli allevamenti intensivi assieme alle attività agricole sono responsabili del 15% delle emissioni che provocano l’effetto serra e vengono appena dopo quelle industriali. Si tratta di numeri totalmente destituiti di fondamento. Secondo le ultime rilevazioni dell’Ispra riferite al 2023, in Italia l’agricoltura pesa per il 7,8% sul totale delle emissioni climalteranti. Di queste appena il 3,5% sono imputabili alle filiere della carne, esclusi latte e uova. Sempre secondo i dati Ispra 2023, i settori le cui emissioni impattano di più sul clima restano l’energia e l’industria energetica con il 55% del totale e i trasporti con il 24,7%. Ma c’è un’ulteriore differenza che sposta la bilancia: mentre le emissioni industriali rilasciano anidride carbonica che permane nell’atmosfera fino a mille anni, alle attività zootecniche si attribuiscono emissioni di metano la cui emivita è di circa 10 anni. E secondo i nuovi calcoli condotti dai fisici dell’atmosfera dell’Università di Oxford il bilancio fra i gas climalteranti emessi e quelli sequestrati dall’insieme del sistema agro-forestale è addirittura negativo. In pratica coltivatori e allevatori negli ultimi dieci anni hanno contribuito a raffreddare l’atmosfera con emissioni ricalcolate cumulativamente a –49 milioni di tonnellate di anidride carbonica equivalente.

3-Con la carne coltivata si può colmare la penuria alimentare in cui versano le popolazioni dei Paesi dove il reddito medio disponibile è più basso. In pratica c’è la prospettiva di sfamare a basso costo tutti gli 8 miliardi di abitanti della Terra. Anche ammesso che in un futuro più o meno prossimo si possa centrare l’obiettivo di abbassare i costi di produzione della carne artificiale sotto quelli della carne vera, oggi le aziende del settore sono ancora sideralmente lontane dal target. In uno studio pubblicato dal Journal of Agriculture and Food Research, i tre ricercatori Greg Garrison, Jon Biermacher e B. Wade Brorse hanno calcolato quanto costerebbe produrre carne sintetica con le tecnologie attuali, in un impianto con una capacità di 540.000 chilogrammi all’anno. Il risultato è tutto fuorché incoraggiante, perché un chilo di carne sintetica verrebbe a costare circa 200 dollari. Cifra che potrebbe abbassarsi a 63 dollari qualora vengano sviluppati nuovi processi che consentano ad esempio di utilizzare sostituti dell’ormone della crescita.

4-La carne coltivata in laboratorio è sicura sotto tutti i punti di vista e può essere più salutare della vera carne bovina o suina. Almeno per ora Fao ed Oms la pensano diversamente. In un ponderoso documento pubblicato sul finire della scorsa primavera, le due agenzie dell’Onu per la sicurezza alimentare e la salute, segnalavano ben 53 aspetti potenzialmente critici per la salute nei cibi artificiali. Pericoli legati alle quattro fasi principali del processo che produce la carne sintetica: l’approvvigionamento e la selezione delle cellule, la crescita e la replicazione delle cellule nei bioreattori, la raccolta delle cellule coltivate e infine la trasformazione nei cibi voluti. I rischi cui fanno riferimento Fao ed Oms sono molteplici e vanno dalle banali contaminazioni microbiche alla presenza di additivi per migliorare aspetto e sapore del prodotto finito o di antibiotici per prevenire le infezioni nel brodo di coltura utilizzato all’interno dei bioreattori. Senza considerare le possibili contaminazioni con nanoplastiche e metalli pesanti. L’industria di settore non ha replicato al documento delle due agenzie Onu.

5-Chi critica l’utilizzo dei bioreattori nello sviluppo della carne artificiale non considera che essi sono già largamente utilizzati. Ad esempio dall’industria farmaceutica per la produzione dei vaccini. In realtà l’ambiente dei bioreattori impiegati dall’industria farmaceutica è mantenuto altamente sterile con l’utilizzo di tutte le risorse attualmente disponibili. Mentre nel processo di moltiplicazione cellulare indispensabile per produrre la carne in laboratorio, si possono impiegare quasi esclusivamente gli antibiotici. Il rischio di contaminazione batterica o micotica dei brodi di coltura è altissimo. E non è ancora stato risolto.

6-La «coltivazione» delle cellule di carne è un processo naturale ed è sbagliato condannarlo a priori in base al principio della massima precauzione. Le reazioni che entrano in gioco nella produzione di carni artificiali sono tutto fuorché naturali. Come segnala il professor Luigi Pulina, ordinario di etica e sostenibilità degli allevamenti all’Università di Sassari, a preoccupare gli esperti è proprio il meccanismo di proliferazione cellulare nei bioreattori in cui è alto il rischio di mutazioni incontrollate, e l’utilizzo dei fattori di crescita e degli ormoni, da siero o di origine non animale, impiegati nei bioreattori per innescare e accelerare la coltivazione cellulare. Ci sono rischi concreti che queste molecole bioattive possano interferire con il metabolismo umano e attivare l’insorgenza e lo sviluppo di forme tumorali. Ecco perché attorno a questo processo c’è tuttora una grande cautela da parte della comunità scientifica.

7-La demonizzazione della carne coltivata è del tutto gratuita e non ha alcuna spiegazione scientifica alle spalle. È un atteggiamento passatista che punta ad ostacolare il progresso alimentare. È vero esattamente il contrario, come spiega il professor Giorgio Cantelli Forti, farmacologo, una vita spesa a insegnare, in Italia ma anche negli Stati Uniti, all’Università di Galveston, e ora presidente dell’Accademia nazionale di agricoltura: «Assumiamo la carne rossa da migliaia di anni e grazie a studi retrospettici ne conosciamo tutti gli effetti sul nostro organismo. Sulla carne di laboratorio e gli additivi utilizzati non sappiamo nulla. Serviranno anni di studi per capire se il manzo possa davvero essere sostituito da quello artificiale». Dunque non è soltanto una questione di sicurezza e salubrità. Finora nessuno è stato in grado di dimostrare che la carne sintetica assicuri l’apporto di amminoacidi essenziali, di molecole bioattive quali carnitina, carnosina e creatina, come fa la carne rossa. Dunque non c’è alcuna prova che sia equivalente alla carne naturale.

8-È giusto che i cibi di laboratorio, come tutti i novel food validati dall’Unione europea, ottengano le certificazioni in tempi rapidi. Oramai la ricerca è velocissima. Non ha senso volerne fermare la commercializzazione. Non è assolutamente vero. Dal momento in cui un farmaco viene brevettato, dopo essere stato realizzato, trascorrono da dodici a sedici anni prima che arrivi in farmacia. Anche se la carne di laboratorio non ricade nella normativa del farmaco, non è possibile pensare che un alimento artificiale possa essere utilizzato senza aver svolto tutte le valutazioni sperimentali del caso. E comunque sta a chi lo vuole introdurre sul mercato dimostrare che non sia pericoloso per la salute. E non il contrario: non è chi invita alla prudenza che deve dimostrarne l’eventuale pericolosità. Pure in questo caso non vale l’inversione dell’onere della prova. 

 

 

 

9-Per quanto siano avanzati e tuttora in fase sperimentale, dei processi messi in gioco nella «coltivazione» della carne si conosce tutto. Chi frena lo fa per motivi eminentemente politici, come chi ha spinto per fare approvare la legge che ne vieta produzione e commercializzazione in Italia. È vero proprioil contrario. I ricercatori che non siano coinvolti direttamente nel processo produttivo dei cibi di laboratorio non hanno potuto condurre finora alcuna controanalisi. Come spiega sempre il professor Pulina «chi produce la carne artificiale si rifiuta di metterla a disposizione della ricerca». Un aspetto non trascurabile che rovescia i termini della questione. Non mancano gli scienziati pronti a partecipare agli studi sugli alimenti di laboratorio. Manca semmai la disponibilità dei produttori di coinvolgerli. Aprendo le porte dei proprilaboratorialla comunità scientifica. Eppure si accusa chi ha dubbi di essere un «oscurantista». 

10-È sbagliato parlare di carne sintetica o di carne artificiale, declinandola soltanto nell’accezione negativa. La definizione corretta è «carne coltivata». A smentire le rivendicazioni terminologiche dei fautori della carne da laboratorio è lo studio redatto da Fao e Oms in cui vengono censiti 53 rischi potenziali. Secondo un’analisi condotta su studi, pubblicazioni scientifiche, documenti ufficiali e giornali dalle due agenzie dell’Onu, nel mondo accademico si utilizzano anche gli aggettivi «sintetico» e «artificiale» per definire il prodotto della replicazione cellulare nei bioreattori. Ammesso che davvero sia «carne coltivata» l’espressione corretta, non ha senso stigmatizzare l’uso di altri aggettivi, visto soprattutto che professori universitari e ricercatori non esitano a parlare di «cibi sintetici». Semmai si potrebbe obiettare che la solerzia nell’imporre la definizione di «coltivazione» delle carni, nasconda il tentativo di associarla a un processo naturale, com'è appunto quello della coltivazione.

 

 

 

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