Il bancone del riso al supermercato è un florilegio di colori e di slogan accattivanti. Fra prodotti che si presentano come «ideali per risotto», risi multicolori e chicchi che ammiccano alle cucine orientali, spiccano comunque le varietà della tradizione alimentare italiana. Arborio ma soprattutto Carnaroli, con qualche variazione sul tema per Ribe, Sant’Andrea e Roma. Ma i pacchi che recano i nomi delle varietà tradizionali, in realtà, celano il più clamoroso furto d’identità che la storia centenaria dell’agroalimentare italiano annoveri. Mettendo nel carrello una confezione di Carnaroli abbiamo al massimo 2 possibilità su 10 portare a tavola il re dei risi italiani. Ed è tutto in regola. Tutto legale. Non c’è nulla che si possa contestare.
Ne ho parlato ieri alla degustazione “Il chicco giusto, esperienza tra Carnaroli e varietà similari” organizzata da Coldiretti Pavia in collaborazione con Monica Bramini, studentessa del corso di Agrifood all’Università di Pavia che sta lavorando a una tesi sul re dei risi italiani. Al centro dell’evento test gustativi di Carnaroli in purezza, Caravaggio e Leonidas, due dei suoi similari più diffusi, cucinati dagli agrichef di Campagna Amica.
Il furto d’identità di cui è vittima il riso selezionato nel 1945 da Ettore e Angelo De Vecchi e che quest’anno compie ottant’anni, è possibile grazie al decreto legislativo 131 del 2017 che ha declassato le varietà tradizionali di riso – Carnaroli, Arborio, Sant’Andrea, Roma, Ribe, Vialone Nano - a mere denominazioni di vendita, creando dei gruppi varietali composti dalla varietà in purezza e dai suoi similari. Il riso puro sarà etichettato come “Classico”, i similari con la denominazione di vendita del gruppo varietale.
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Per capirci Il Carnaroli Puro viene etichettato come Carnaroli Classico, i similari semplicemente come Carnaroli. Dunque, in base a questo principio, le scatole del “Classico” sarebbero le uniche a contenere davvero il Carnaroli perché le confezioni su cui compare la denominazione Carnaroli contengono in realtà uno dei suoi 15 similari. In pratica le cose sono ancora più complesse perché sono in circolazione pacchi di riso etichettati soltanto come Carnaroli che contengono il Carnaroli Puro. Ad esempio nel caso del riso di Baraggia Biellese e Vercellese Dop e pure nel caso del riso del Delta del Po Igp che recano rispettivamente il bollino giallo-rosso dei prodotti a Denominazione d’origine Protetta (Dop) e il bollino giallo-blu dei cibi a Indicazione geografica protetta (Igp).
Non basta. C’è pure il caso del Carnaroli da Carnaroli Pavese, prodotto in regime di qualità certificata da semente di Carnaroli in purezza. Infine c’è il caso del riso Carnaroli in purezza non certificato perché gli agricoltori che lo coltivano non hanno aderito al disciplinare del Carnaroli Classico.
Ma, tenetevi forte, non è finita qui. In barba alla classificazione introdotta dal decreto 131/2017 sono in commercio ben tre similari appartenenti al gruppo varietale del Carnaroli, ma etichettati e venduti con il vero nome delle tre varietà. Si tratta del Caravaggio, del Keope e del Karnak prodotti dalle aziende associate al Consorzio di tutela del riso del Delta del Po. Il decreto 131 vieta di vendere i similari con il vero nome della varietà, ma il riso Igp, come tutti i prodotti a indicazione geografica, è escluso dal campo di applicazione del decreto sull’etichettatura. Dunque, contando anche questi ultimi tre casi, le possibili etichettature del gruppo varietale del Carnaroli – espressione che mi fa venire la pelle di cappone solo a citarla – sono ventitré.
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La riforma del 2017, quella che ha introdotto il Carnaroli Classico, in realtà ha generato un sistema di etichettatura che rappresenta una potentissima barriera cognitiva, quasi impossibile da valicare anche per i consumatori più attenti. Io stesso ho impiegato mesi per capirne i meccanismi. E l’ho fatto soltanto perché stavo scrivendo un libro sugli ottant’anni del Carnaroli. Diversamente avrei desistito prima. Alla fine le etichette del Carnaroli sono tutte farlocche.
Nel caso dei similari - vale a dire Caravaggio, Carnise, Carnise precoce, Carnaval, Caroly, Cartesio, Circe, CL 44, Karnak, Keope, Leonidas CL, MZA 11, Poseidone, Sibilla e Zar - si etichettano come Carnaroli varietà di riso di cui si sa poco o nulla, nemmeno le varietà progenitrici, sconosciute perfino all’Ente Nazionale Risi. Ma anche l’etichettatura del Carnaroli autentico è sbagliata perché è l’unico che dovrebbe essere messo in commercio con la denominazione Carnaroli.
Alla fine, il decreto 131 che ha riformato nel 2017 il mercato interno del riso, finisce per svolgere una funzione eminentemente assolutoria. Il divieto di etichettare con il loro vero nome i similari, elide per tutti i componenti della filiera che porta dal campo al bancone del supermercato una responsabilità soggettiva nella clamorosa falsificazione che punisce i risi della tradizione italiana.