Stuprata dal maestro di karate, il racconto choc della ragazzina a Libero: "Come ci costringeva ad avere rapporti sessuali"
Tutte la indicavano come la "ex fidanzata" del "maestro". Perché lui, l'istruttore di karate arrestato il 5 ottobre per avere abusato di almeno altre 5 delle sue allieve minorenni, andava dicendo proprio questo. «È la mia fidanzata». In realtà, l'orco, costringeva questa quindicenne, così come le altre adolescenti che lo hanno denunciato e mandato in cella, a rapporti sessuali di ogni tipo. Agiva usando sempre la stessa trappola: attirate col pretesto degli allenamenti e del fisico perfetto, convinte a credere che fosse giusto fare quel che lui ordinava. Fino a quando una delle piccole abusate non ha parlato. Sempre lui, il "maestro", 43 anni, siciliano, una moglie e il capannone trasformato in palestra nella zona industriale di Lonato del Garda (Brescia), invitava gli amici a guardare. A partecipare ai raduni di sesso a tre. La minorenne di turno e loro: i papà di due ragazzini iscritti a karate e un uomo di 27 anni, anche loro indagati. Pesantissime le accuse per l'istruttore siciliano: violenza sessuale di gruppo, prostituzione minorile, atti sessuali con minori, detenzione di materiale pedopornografico. È tutto agli atti, insieme con i racconti delle vittime. Eccone uno. Era così facile cadere nella sua trappola? «Si, lui ci era sempre addosso e ci sovrastava coi suoi giri di parole». Quanti anni aveva quando ci sono stati i primi abusi? «Quindici». Cosa è successo? «Mi sono iscritta a quella palestra e lui, subito, si è mostrato ossessivo. Mi obbligava ad andare lì col pretesto degli allenamenti, diceva che mi avrebbe fatto diventare più bella, che mi avrebbe aiutato a studiare, come in realtà faceva. Questo era l'inizio. Poi però, se provavo a non andare, lui si arrabbiava, mi minacciava. Fino a quando finivo per essere sempre lì, vicino a lui». Cosa accadeva? «Che passavo tutto il mio pomeriggio in quella palestra, dalle due del pomeriggio fino alle sette di sera. Ma senza fare gli allenamenti, perché lui chiedeva altre cose. Si avvicinava, toccava, mi obbligava a inviare foto hard a lui e ad altri adulti. Tutto questo succedeva sette giorni su sette e anche la domenica. Imponeva che ci vedessimo, mi costringeva a farlo». In che modo la costringeva? «Diceva che avrebbe rivelato dei nostri rapporti. E poi minacciava il suicidio. Io mi sentivo in colpa. Continuava a chiamarmi, a scrivermi messaggi deliranti, fino a seguirmi. Se io disobbedivo o non rispondevo, veniva sotto casa mia. E io ero terrorizzata, temevo che qualcuno scoprisse di quei rapporti di sesso». Cosa ricorda del primo episodio? «Quel giorno mi disse che doveva farmi un massaggio anti-cellulite. Io lo conoscevo da poco e non sapevo che cosa volesse dire. Solo quando mi ha messo le mani nelle parti intime, fino a costringermi ad vere un rapporto orale e poi un altro completo, mi sono resa conto che le sue intenzioni erano soltanto quelle. Ma ormai era tardi. Sapevo che non era normale, a me lui non interessava, però avevo paura che si scoprisse quanto accaduto. E più avevo paura, più accettavo di rifare qualsiasi cosa». Perché non ribellarsi? «Impossibile, diventava minaccioso, mi faceva sentire in colpa». Dove avveniva tutto questo? «Nella stanzina dell'infermeria, che era piccola e vuota. C'erano soltanto un lettino, alcune mensole, gli oli e basta». Eravate tante, fra di voi avete mai parlato? «No, guai. Si arrabbiava». Perché non parlarne con i suoi genitori? «Avevo vergogna. E aspettavo la notte, quando finalmente ero sola, per poter piangere». di Cristiana Lodi