Governo, Luigi Zingales: "Io ministro? Se me lo proponessero, perchè no?"
La disponibilità di Luigi Zingales, 56 anni, padovano, grande economista alla Scuola di business Chicago Booth, per un dicastero a 5 stelle appare evidente nel weekend di Cernobbio: «Se mi chiedessero di fare il ministro? Con un programma e un governo giusto sì, ma non è che uno se lo inventa anche perché sanno che sono un rompicoglioni». E in effetti Zingales anche negli incontri riservati a Villa d' Este non ha risparmiato critiche a nessuno. Neppure alla classe dirigente di imprenditori impegnata nei lavori del convengo primaverile di Ambrosetti. Secondo l' economista la prossima agenda italiana dovrebbe basarsi su: diversa politica fiscale, diversa classe dirigente e diverso approccio all' Europa. «Non entro nella prima», spiega «dove i margini sono limitati, ma sulla seconda c' è un problema degli imprenditori, perché manca la meritocrazia nelle aziende e in vari settori. Va impedito per esempio ai consiglieri d' amministrazione di sedere in più consigli, vanno rese trasparenti le piramidi di controllo delle società, allungati i tempi di prescrizione e resi punibili i magistrati che sbagliano». Pure Sull' Europa Zingales polemizza con la classe dirigente: «C' è una fetta di quella del nord che considera l' Europa un busto per tenere su l' Italia. Un' operazione che rischia di essere antidemocratica. Del tipo: ci servono quei parametri perché se no la politica fa un disastro. La mia idea è che non si può stare in Europa senza il consenso della gente. Bisogna renderla più accettabile agli occhi di tutti e se non ci si riesce si può decidere se restarci o no». Per l' economista ci sono dunque tre richieste urgenti da fare a Bruxelles: «Rivedere i patti sull' immigrazione, spartendo le quote, chiedendo confini e investimenti comuni. Poi non ci può essere un' area valutaria senza qualche meccanismo di ridistribuzione fiscale. Bisogna dire ai tedeschi: scegliete quello che volete, ma uno serve e per me potrebbe essere un' assicurazione sulla disoccupazione a livello federale. Infine, come Merkel ci ha imposto il bail in sulle banche, ora ci prova con quello sui titoli di stato. Non facciamo finta di niente, bisogna giocare d' anticipo dicendo: lo volete? Lo facciamo subito introducendo dei titoli senior e junior per ridurre il debito. Ora il 35 per cento dei titoli di stato sono in mano agli stranieri. Non possiamo aspettare che i titoli della Bce tornino nel portafoglio degli italiani, quelli esteri pure e a quel punto ci impongono il bail in». Leggi anche: Zingales, chi è il prof che ha rovinato Oscar Giannino Zingales contestualizza queste richieste in uno scenario internazionale minaccioso: «Quando finirà il quantitative easing della Bce il rischio di innalzamento dei tassi è limitato, ma quello di una recessione no e questa potrebbe influire pure sui tassi. La recessione dipende da molti fattori, compresi Trump e il prezzo del petrolio. Guardando gli Stati Uniti, in espansione da dieci anni, la probabilità che entro il 2019 cominci una recessione è del 50 per cento. Secondo me arriverà e ci colpirà perché l' Italia vive di esportazione. O noi otteniamo quel che dicevo da Bruxelles o pagheremo la recessione con una nuova crisi dello spread senza Draghi alla Bce e saremo forzati dalla Germania ad abbandonare l' euro come è successo alla Grecia». Come potrebbe avvenire esattamente l' economista non fatica ad immaginarlo: «Sarebbe una crisi come quella del 2011. Il 35 per cento del debito italiano detenuto all' estero verrebbe venduto alle banche nostrane, che se lo accollerebbero smettendo di fare prestiti all' economia reale che si fermerebbe. L' unica alternativa è che Bruxelles ci permetta di sistemare ora il debito come dicevo. L' urgenza è tale che dovrebbero aiutarci, se no il rischio di uscire dall' euro diventa elevato. L' altra strada può essere di restare nell' euro rispettando tutti i vincoli di bilancio, ma le elezioni mi pare abbiano dato un orientamento diverso. Nessuno ha fatto una campagna per uscire dall' euro, ma è chiara l' insoddisfazione per come ci tratta Bruxelles». di Francesco Rigatelli