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Giulio Andreotti, la vergogna della Rai 3 grillina: come lo hanno ricordato in tv

Davide Locano
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Rivedere Il Divo la sera dell'arresto di Cesare Battisti è stata un'esperienza istruttiva, intendo dal punto di vista dell' autorappresentazione che facciamo della nostra storia recente. La pellicola di Paolo Sorrentino su Giulio Andreotti, rimandata in onda da Raitre con grande battage pubblicitario e social nel centenario dello statista (come dicono gli ammiratori), di Belzebù (come dicono i nemici) o di entrambi (come appare a uno sguardo laico), è infatti la summa perfetta della narrazione elaborata da intellettuali, aspiranti tali, cineasti apocalittici e sociologi integrati, pensatori a vario e dubbio titolo, sul significato del Dopoguerra italiano. E questo ha molto a che fare con l' approdo in ritardo nelle patrie galere di un tetro fantasma di quella stagione, come il pluriomicida membro dei Proletari armati per il Comunismo. In sintesi, il racconto dominante che viene infine sublimato nell' opera di Sorrentino suona: le pagine più buie e le schifezze peggiori della Repubblica dal 1948 ad oggi sono tutte da imputare alla sua classe dirigente. Agli uomini che fecero il Paese (un cumulo di macerie fisiche e morali nel 1945, che pure pochi decenni dopo sedeva nel club delle potenze industriali mondiali), quindi massimamente ai democristiani, quindi massimamente al Divo. Leggi anche: "L'unica volta in cui si è arrabbiato davvero": parla il figlio di Andreotti ARCHETIPO DANNATO Andreotti come archetipo dannato e come lavacro della coscienza collettiva, Andreotti paramafioso se non manovratore della Cupola, Andreotti responsabile effettivo se non mandante della fine di Aldo Moro, Andreotti che fa sparire giornalisti, Andreotti che porta sulla gobba «la responsabilità diretta o indiretta per tutte le stragi avvenute in Italia dal 1969 al 1984», come confessa Servillo in un monologo che fa sembrare il capo della Spectre nei film di 007 un bonario dilettante. A parte la fumosità etica dell' istituto della «responsabilità indiretta», la retorica non è mai stata così chiara: a sporcare di sangue e lordura la biografia dell' Italia sono stati i leader democristiani, quelli che Pasolini voleva processare in blocco, per una volta in accordo coi sessantottini (oggi non di rado collocati negli snodi chiave del mainstream mediatico e culturale) che volevano somministrare loro la diossina e li chiamavano continuatori del fascismo. C' è una lunga tradizione, alle spalle di quel killeraggio cinematografico che è Il Divo. Una linea rossa, in senso letterale e politico, a cui davanti alle immagini del terrorista comunista finalmente scovato nella sua perenne fuga vigliacca vien da dire: no, un momento. La nostra storia è stata infangata e insanguinata anzitutto da altro, anzitutto dalle ideologie criminali. Nel dopoguerra, anzitutto dal totalitarismo con la falce e il martello, religione terrena a cui si convertì pressoché in blocco la casta intellettuale di un Paese dove prosperava il più grande Partito Comunista d' Occidente, il cui giornale alla morte di Stalin invocò «gloria eterna all' uomo che più di tutti ha fatto per la liberazione e per il progresso dell' umanità». CATTIVI MAESTRI La nostra storia è senza dubbio intrisa di sangue, ma è anzitutto il sangue versato da tutti i Battisti, è il sangue figlio della violenza politica sdoganata e fusa con la delinquenza comune, è il sangue di chi intendeva «perpetuare il male per garantire il bene» perverso e allucinato della rivoluzione a suon di proiettili, dolore, vite strappate (per riadattare un' espressione che Sorrentino mette in bocca al Divo). La nostra storia è insozzata per sempre da tutti quei cattivi maestri che diedero copertura culturale al terrorismo "proletario" di cui Battisti è un grottesco epigono, da chi urlava e scriveva «né con lo Stato né con le Brigate Rosse» (tra cui il Manifesto e Lotta Continua), da chi vergò un appello contro il commissario Calabresi e da chi né firmò uno in difesa di Battisti (è il caso di Vauro che pur tra mille perifrasi l' ha rivendicato anche in questi giorni). La nostra storia è stata profanata per primi da coloro che dichiararono guerra all' imperfetta democrazia liberale in cui nonostante tutto la Democrazia Cristiana ci teneva, in nome della perfezione totalitaria e omicida del Soviet. Non sarebbe male, se un giorno un regista altisonante e celebrato dedicasse a Battisti o al terrorismo brigatista un film spietato come quello che Sorrentino ha dedicato ad Andreotti. Ma forse il nostro è un auspicio ingenuo, di cui il Divo sorriderebbe divertito. di Giovanni Sallusti

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