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Casa di carta, la quarta stagione annega tra rivendicazioni anti-Sistema e messaggi "pericolosi": le donne al potere sono la rovina

Scena da rapina

Francesca D'Angelo
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C' è voluto un po': per l' esattezza, 38 episodi e altrettante ore della nostra vita. Alla fine però La casa di carta ha gettato la maschera (di Dalì) rivelandosi per quello che è, ossia la serie più furba del momento: lontana anni luce da quello che vorrebbe essere. La fiction, di matrice spagnola, è arrivata infatti in Italia tre anni fa, su Netflix, al grido dell' originalità: la Spagna ci avrebbe raccontato la rapina del secolo, schierando una banda di criminali con nomi di città, capitanata dall' onniscente Professore. Un tizio, per farla breve, in grado di prevedere e risolvere tutti gli imprevisti. La premessa era obiettivamente intrigante, anche se scopiazzava qua e là idee già viste in film e serie tv. Nel complesso però reggeva. Per qualche puntata, però, mica per diecimila. E qui emerge la prima falla: La casa di carta reitera la premessa iniziale lungo una prateria di episodi, perdendo così per strada la suddetta originalità. Quello messo in piedi è infatti un gigantesco copia e incolla: a volte funziona, più spesso annoia. Eppure la gente se ne è appassionata: non si parla d' altro da anni, figuriamoci in questo periodo di quarantena dove i contenuti inediti si contano sulle dita.
A intrigare sarebbe soprattutto il "rivoluzionario" messaggio sotteso: una filosofia di sinistra memoria, che tra contestazioni anti-Sistema e idee partigiane, trova la sua massima espressione nel canto Bella ciao, intonato dalla banda. Insomma un revival di idee comuniste tutt' altro che nuove, che nel giro di due rapine (una alla Zecca di Stato e un' altra, ancora in corso, alla Banca di Spagna) ci tinge il cuore di rosso.

 


Il vero colpaccio de La casa di carta è però un altro, ossia l' aver schierato una serie di donne forti, per poi mostrarci tutta la loro inutilità: un vero azzardo, di questi tempi femministi. Partiamo dal principio. Nella prima stagione l' antagonista de Il Professore era l' ispettrice Murillo: una tipa tosta, o almeno così sembrava. Invece la nostra si fa infinocchiare dopo 30'' dal Professore, venendo battuta colpo su colpo. Si salva in corner solo perché il Prof si innamora di lei. La nostra decide di unirsi alla banda, con il nome di Lisbona. Ebbene, da quel momento il suo contributo alla causa criminale è pari a zero. Fa più danni che altro. Ma passiamo alle due donne forti della banda. Nella seconda stagione Nairobi decide di spodestare Berlino e assumere il comando, rivendicando il potere del matriarcato. Peccato che resiste al comando giusto 30' di episodio: lei stessa ricederà il potere a Berlino, rendendosi conto dei propri limiti. Nella quarta stagione è invece il turno di Tokyo: la «donna Maserati», quella sulla quale tutti vorrebbero fare un giro, come spiega Denver con toni maschilisti. La nostra fa un vero e proprio colpo di stato, detronizzando Palermo.
Risultato: il caos. La banda è allo sbando e regna l' anarchia. E dire che ce ne voleva a fare peggio: sebbene nessuno della banda brilli per equilibrio mentale, Palermo e Berlino sono da camicia di forza. Insomma, la tanto osannata leadership femminile non vale un fico secco. La riprova è nel nuovo personaggio: l' ispettore Sierra, presentata come «la regina delle stronze». È l' unica che riesce a tenere testa al Prof ma, non a caso, non ha nulla di femminile. Empatia: inesistente. Istinto materno: zero, anche se è incinta. Tenerezza: non pervenuta. La serie fa insomma a pezzi le recenti lotte femministe, eppure nessuno batte ciglio...

 

 

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