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Alessandro Haber, il dramma: "Da 8 mesi in carrozzina per un'operazione sbagliata"

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 Alessandro Haber

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«Oggi mi trova in una giornata no». Alessandro Haber ci accoglie così. E poi ce lo spiegherà perché parlando dei sogni, dei desideri, delle passioni quasi tutte realizzate di un uomo, un artista, che a 75 anni ne ha viste e fatte davvero di ogni tipo ma ora sta vivendo una parentesi di vita particolare: «Ho uno stato d'animo decisamente fragile in questo momento. Da otto mesi vivo su una sedia a rotelle. Sto facendo delle terapie per un'operazione andata non bene, poi ne ho fatta un'altra. Sto provando a riprendermi. Fatto sta che guardo il mondo a mezza altezza. Lavoro, faccio delle prove in teatro, vado ai concerti però non sono autonomo. Mi avete trovato, insomma, in un momento in cui la riflessione e lo struggimento sono particolarmente forti».

Centoventisei film, un David di Donatello vinto, cinque nastri d'argento. Il teatro vissuto come il vero tempio della rappresentazione. Dove la valigia dell'attore si apre davvero. E Haber canta pure. Come ha fatto nei cinque album in studio. Il primo dei quali, Haberrante, del 1995 si apre con il brano scritto per lui da De Gregori La valigia dell'attore. Tra le passioni di Haber ci sono poi anche i cortometraggi che lo vedono particolarmente attivo. Nel corso della Festa del Cinema di Roma ne ha presentato uno da lui diretto, senza troppi red carpet in verità, forse per il titolo e il tema tra il provocatorio e l'urticante. Si intitola L'inganno, realizzato dalla Settembre Produzioni di Carla Finelli con Sonia Giacometti produttrice esecutiva ed è ambientato in piena pandemia a Gradara, la terra di Paolo e Francesca. Anche se non è proprio l'adulterio il tema così centrale.

 

 

Maestro, con questo cortometraggio si mette a contestare le regole antiCovid?
«Il cortometraggio si chiama L'inganno perché accade qualcosa di inaspettato. Perché ci hanno raccontato qualcosa che è diversa. Avrei voluto anche chiamarlo Mascherine, forse sarebbe stato meglio, perché parliamo anche di equivoco. Durante il periodo del lockdown non riuscivo a distinguere le emozioni, i volti, le sensazioni e con queste mascherine eravamo tutti omologati, anonimi, senza identità. È talmente bello vedere le facce, le espressioni con il loro arcobaleno di colori».

Però confondere la propria donna non le pare troppo?
«Ovviamente ho esasperato e portato all'eccesso quella situazione ma in quel periodo facevo fatica a riconoscere persino me stesso, i miei amici».

Ma ora, al di là del riconoscimento facciale, lei pensa che queste mascherine siano state almeno utili alla prevenzione del Covid?
«Penso di sì ma ci sono state molte contraddizioni. Voglio credere che dietro non ci sia davvero un buisiness. Io devo dirle che la usavo proprio quando ero costretto perché indossandole non riuscivo proprio a respirare e ho avuto la fortuna di non prenderlo sebbene, indossandole il minimo possibile, sia stato tra quelli che hanno rischiato molto».

Uscendo dalla diagnosi clinica, sicuramente dal punto di vista sociale e politico il Covid di equivoci ne ha creati. Con una sinistra che era diventata legge e ordine e una destra più lassista e libertaria...
«Sono un uomo di sinistra anche se ormai è tutto apparigliato. Non c'è una persona che abbia carisma, forza, capacità di convincimento. Spero che le persone che ci governano abbiano un senso umano, etico, costruttivo nei riguardi degli altri, degli ultimi. La politica dovrebbe essere seria. Che ti guida, ti protegge, ti aiuta. Io sono rimasto a Berlinguer ma c'era probabilmente anche un altro modo di di vivere, di gestire la quotidianità. Oggi è tutto facile. Non c'è più la ricerca. Una volta la vita era più artigianale. Ora non ci si guarda più. I ragazzini hanno avuto un trauma in questi anni e sono costretti ad andare dallo psicologo. Di fronte a tutto questo tra i politici non ne ho sentito uno, di destra odi sinistra, che abbia detto di aver sbagliato. Penso che dietro loro facce, espressioni, lessico ci sia qualcosa di non vero. Quella santità, quella verità mancano. È come se mentissero a loro stessi».

 



 

Lei è nato a Bologna come Pier Paolo Pasolini, un altro eretico di sinistra. Lo ha conosciuto? Si può dire che la sinistra ha tradito anche lui?
«L'ho conosciuto quando venne a tenere un seminario presso la scuola di recitazione di Alessandro Fersen. Pasolini è stato un uomo affascinante, rivoluzionario per quell'epoca e ancora oggi. Era molto coerente, non edulcorato. Diretto, preciso, cazzuto. Intelligente e illuminante. Pasolini è una di quelle persone che nascono una volta. Non era amato perché era un po' anarchico, fuori dai canoni. Uomini così nascono ogni cento anni».

Pasolini parlava del Sogno di una cosa. Che oggi potrebbe essere il sogno dei nuovi migranti. Lei cosa pensa di un tema così controverso?
«Credo che il diritto di ogni persona di cercare una vita migliore vada protetto. L'Europa ha il dovere di proteggere queste persone, al di là del fatto che ci siano i cattivi e i buoni. Anche sotto casa si trovano i cattivi e i buoni. Ci vogliono delle regole ma bisogna ascoltare le loro storie prima che arrivino ad imbarcarsi. Sono tanti ma i viaggi che fanno sono terrificanti, ci cono storie che fanno venire i brividi. Un conto è sognare di fare un film o di fare teatro. Altro è sognare la sopravvivenza. Credo che chi è nato in una condizione privilegiata deve tendere la mano».

Al cinema ora la vediamo in due film dedicati a Dante e Caravaggio. Lei sogna ancora?
«Ho realizzato molti sogni e ne ho ancora altri. In Dante e Caravaggio faccio due cammei credo ben riusciti. Posso dirle che quando le persone mi ringraziano per aver donato loro un'emozione mi sento bene. Come se mi sentissi più reale quando sono irreale, mentre nella vita di tutti i giorni mi sento perso».

Un messaggio che vorrebbe lanciare alla nuova premier, Giorgia Meloni?
«Spero che guardi profondamente a questa Italia. Che pensi al bene comune. Sia coerente e altruista. Bisogna essere un po' santi, magari esagero. Ora c'è bisogno di semplicità e umanità. Spero possa ascoltare e attingere dal pensiero di Papa Francesco che mi piace molto».

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