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Jo Squillo, lo sfogo: "Perché non servono donne con le palle"

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Jo Squillo

Daniele Priori
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«Mi piace dire: non solo 25 novembre (oggi è la giornata contro la violenza sulle donne ndr). La mia storia è iniziata con le Candeggina gang, gruppo di ragazzine ribelli, sbiancanti che negli anni 80 hanno fatto la rivoluzione. Lanciammo da allora la campagna "Tampax gratis". Dopo 42 anni sono molto felice del fatto che hanno abbassato le tasse su quel prodotto». Jo Squillo era ed è rimasta quella ragazza terribile. Anche ora nel ruolo che si è ricavata come madrina di una associazione impegnata nella tutela delle donne vittime di violenza che si chiama Wall of dolls, il muro delle bambole, attiva in sei città: Milano, Roma, Brescia, Genova, Trieste, Venezia, Portogruaro e presto in arrivo anche in Emilia Romagna.

«Mi piace definirmi un'artivista. Uso la musica, l'arte e la luce che ne deriva per dare voce a chi non ha voce e per dire Non sei sola, come cantiamo nel nuovo singolo delle "Bambole di pezza"».

Wall of dolls è un'esperienza che viene da una tradizione lontana. Perché questa scelta?
«È una tradizione indiana. Ogni volta che una donna veniva violata lì si usava appendere una bambola sul portone per non dimenticare. Non ci si può voltare dall'altra parte di fronte a una brutalità che ci riporta al tempo dei barbari. Dobbiamo capire come fare a non parlare soltanto ma ad agire. Per questo sono molto orgogliosa che il Senato abbia appena approvato l'istituzione di una commissione bicamerale sul femminicidio. Un traguardo importante dopo tanti anni che ne parliamo e sollecitiamo la politica a intervenire».
 

Quando è nata Wall of dolls?
«Sono tanti anni, da quando nel 2015 abbiamo fondato Wall of dolls che, assieme alla presidente Francesca Carollo e alla collaborazione della senatrice Giusy Versace, portiamo avanti iniziative per unire il mondo dell'assistenza, delle associazioni e delle istituzioni. Il muro è presente in molte città e stimola a realizzare progetti importanti affinché si possa essere davvero utili sui territori, portando documentari nelle scuole per sensibilizzare ragazzi, restando vicine ai figli delle vittime: ci sono 2mila orfani lasciati soli dalle istituzioni che in molti casi fanno fatica a mantenersi. Li abbiamo portati a vedere il mare. Sono sorella di tante donne che si sono salvate per un pelo come Maria Antonietta Rositani, Pinky, Valentina Pitzalis, Lucia Annibali. Donne che portano ancora addosso le loro ferite. Nel mondo della moda, di cui pure mi occupo, abbiamo coinvolto anche aziende importanti come Miroglio che ha donato 5mila abiti. Li abbiamo distribuiti sul territorio a associazioni e centri antiviolenza per dare un'identità nuova di giustizia e rinascita a donne che spesso fanno fatica a guardare in alto, oltre questo dolore».

Trent' anni fa a Sanremo con Sabrina Salerno cantava «Siamo donne. Oltre le gambe c'è di più». Cosa intendeva?
«Sono grata alla vita. Ho scritto oltre 150 canzoni ma questa rimane come emblema di tante generazioni femminili. Un pezzo che racconta quanto siamo diverse, di come dobbiamo poter scegliere di essere ciò che vogliamo. Sanremo è stata la mia seconda vita, una ribellione più pop, destinata non solo alla nicchia punk alla quale mi ero rivolta negli anni '80. Nel '91 sono andata a presentare un progetto che sembrerebbe semplice. Scelsi Sabrina Salerno. Lei allora era famosissima in tutto il mondo e fu straordinaria ad accettare questa proposta di unione femminile. Fu bellissimo. Da un giorno all'altro ci ritrovammo ad andare in giro scortate per l'effetto dirompente che ebbe quella canzone, nonostante la Rai ci avesse relegato a tarda notte».

Gli anni '90 furono annidi liberazione vera. Molto più di adesso, non trova?
«Certamente. Arrivavamo dagli anni '80 che servirono ad aprire le menti. Abbiamo illustrato una vita diversa. Nel 1991 anche il grande pubblico ne ha colto i primi segnali. Come Candeggina gang partecipammo davvero a tanti eventi. Non sai a quanti uomini abbiamo abbassato la vista (sorride). Ci siamo presentate senza avere paura della nostra forza anche femminile. Senza rinnegarla. Spesso in quegli anni e ancora oggisi tende a dover giustificare tutto ciò che è femminile. Quasi vergognandosi della propria sessualità. Noi donne siamo l'unica maggioranza a essere trattata da minoranza».

Oggi ci sarebbe spazio per un'altra Cicciolina in parlamento?
«Penso proprio di no. Allora c'era quel genio di Pannella che aveva la cultura e la capacità di essere visionario. L'utopia al potere è quella visione che indirizza alcuni intellettuali. Ora c'è un appiattimento umano che ci porta ad essere incapaci di visualizzare il futuro. Accade nella politica ma anche nella musica e nell'arte, ovunque».
 

Negli anni 80 lei ha cantato brani con titoli come Skizzo Skizzo o Violentami. Oggi nella società del politically correct, sarà d'accordo, sarebbero improponibili...
«Ci sono persone che ancora non hanno capito e forse non lo capiranno mai. Lì si cantava la debolezza di un uomo che non sapeva fare altro che violentare una donna. Il punk era così: dirompente, dissacrante. Una lezione di vita e una visione artistica che sento ancora dentro di me.
Il politically correct è stato anche usato per mettere a tacere un po' di dissenso. La correttezza dei valori non ha nulla a che vedere col moralismo. Oggi si è moralisti su tutto, salvo poi essere nella vita completamente diversi».

Di recente l'abbiamo vista sul palco di Tale e Quale con Alessandra Mussolini. Secondo lei l'ex onorevole è davvero cambiata o è ancora quella di «meglio fascista che frocio»?
«Io penso si sia redenta e son orgogliosa di averla trasformata in una piccola femminista.
Questo è il potere della musica che trasforma le persone. Ho avuto anche il piacere di conoscere sua zia Sofia Loren che è una delle persone più sensibili e divertenti dello star system. Penso Alessandra abbia intrapreso ormai il percorso artistico, non più politico».

Insomma se tornasse a Sanremo e incontrasse Beatrice Venezi come la saluterebbe? Al maschile o al femminile? «No. Il problema Sanremo non si pone. Amadeus non mi vuole. Me lo ha detto...». Va bene, immaginando allora che si trovi a Palazzo Chigi a presentare la sua associazione, saluterebbe il premier o la premier? «Io direi di abolire l'articolo determinativo. (sorride). Guardi, queste in realtà sono questioni che stimolano riflessioni anche giuste. In realtà però preferisco pensare che in primo luogo una persona sia una persona. Come donna, ovviamente, credo sia anche utile interrogarci sul potere femminile che dobbiamo adoperare puntando però più sulla "sorellanza" e senza il bisogno di chiamarci donne con le palle». 

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