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Tullio Solenghi, la confessione inedita: "L'ho imitato, è stato pericoloso"

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Daniele Priori
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Non capita tutti i giorni, nemmeno a un grande attore come Tullio Solenghi, l’occasione di recitare una satira, adattata da un testo originale di Seneca, all’interno della Domus Aurea di Roma, ovvero la residenza costruita dall’imperatore Nerone. È quello che accadrà domani sera a Roma, in occasione della seconda edizione di Moisai - Voci contemporanee in Domus Aurea. Tra queste voci risuonerà appunto quella di Solenghi, comico famoso per aver dato vita al Trio con Anna Marchesini e Massimo Lopez che, dalla fine degli anni Settanta, rivoluzionò la comicità in tv. «Abbiamo creato un marchio doc che ci porteremo dietro qualsiasi cosa faremo e che ci ha reso unici». Nel sito archeologico capitolino, l’attore genovese, affiancato da Pino Quartullo, porterà in scena Apoteosi di una zucca - scherzo funebre in morte del Divo Claudio.

Solenghi, come sarà recitare in una cornice unica e, in questo caso, quanto mai appropriata come la Domus Aurea?
«Sarà un privilegio speciale e veramente incredibile che possiamo avere solo noi attori italiani. I colleghi d’Oltralpe saranno forse più organizzati e meno disoccupati ma non potranno mai recitare un’opera che parla di Nerone in quella che fu la villa fatta costruire duemila anni fa proprio da Nerone stesso. È innegabile che tutto ciò dia una grande emozione».

Oggi quante zucche vede al potere... dove non c’è più nemmeno un imperatore?
«Sono tutte zucche quelle che stanno facendo la guerra che non si rendono conto di come non si possa scherzare col fuoco, minacciando l’uso di armi nucleari. Definire zucche certi personaggi è addirittura un eufemismo molto lieve rispetto a come si potrebbero classificare».

Negli anni ha collaborato con Antonio Ricci, mitico il ricordo di Striscia La Berisha ai tempi della crisi nei Balcani. Oggi le lascerebbero fare qualcosa di simile sull’Ucraina?
«Farlo ora sarebbe come andare a rimestare il dito nella piaga. Credo che adesso, ancor prima di schierarci, ci sia bisogno di una grande forza di volontà che ci aiuti a uscire da questo dramma. C’è bisogno di pace. Anche perché con un ordigno nucleare non offenderesti solo il tuo nemico ma diventerebbe una tragedia generale che andrebbe a colpire anche chi decidesse di sferrare un attacco simile».

A proposito di comicità e potere. Le faccio un nome: Beppe Grillo. Come ha vissuto l’ascesa e ora anche la discesa politica di questo suo collega che peraltro è anche suo conterraneo?
«Io mi sono sempre un po’ astenuto dal giudizio politico. Ho sempre considerato Beppe un amico e collega. Alcune sue battaglie le condivido, altre meno. Questi ultimi passi in particolare hanno dimostrato come alla fine anche i duri e puri vengano coinvolti nell’usura del potere. Non proprio tutti ma alcuni di loro sì».

 



Con il Trio avete portato una nuova idea di satira in tv. Oggi questo genere come se la passa?
«Si sente sempre dire che la satira e il varietà sono morti. Quando poi spunta fuori qualcuno in gamba si riscopre anche il valore della satira stessa. Oggettivamente ora siamo in un tempo in cui regna la massificazione. Destra e sinistra si sono confuse tra di loro. Fare satira è diventato un po’ più complicato di una volta. Adesso gli obiettivi si sono un po’ edulcorati».

Lei con il Trio finì nel mirino degli integralisti islamici per l’imitazione di Khomeyni e poi dei cattolici per la parodia di San Remo. Ha mai avuto paura?
«La Rai, nella settimana successiva allo sketch su Khomeyni, ci consigliò di non uscire di casa. Paura vera però non ne ho avuta mai. Salvo una volta in cui mi trovai in ascensore con un signore dai chiari connotati mediorientali che mi fissava. Fin quando non mi chiese se fossi io quello dell’imitazione. Lì traasecolai. Invece poi mi abbracciò dicendomi che lui era iracheno... Mi andò di lusso insomma».

Le è capitato di autocensurarsi?
«L’autocensura l’ho usata dopo aver fatto la parodia di San Remo ma solo perché ricordo che mia madre, cattolica fervente e grande mia fan, ci era rimasta male. Mi chiamava tutte le sere. Quella sera non mi telefonò. Capii che avevo un po’ esagerato e decisi di astenermi dalle satire sulla nostra religione».


In tv continuiamo a vederla protagonista in show come Ballando con le stelle o Il Cantante mascherato. È questa l’evoluzione della tv generalista?
«Questi sono divertimenti da anziano che mi sono concesso. Ma, senza sputare nel piatto in cui ho mangiato, le dico che pur essendomi divertito, non amo questo genere di format e da direttore di palinsesto non li sceglierei. Questi sono grandi divertimenti con un ruolo e uno scopo precisi, come ce li ha anche Maria De Filippi coi suoi spettacoli. La tv è sempre più caratterizzata dai protagonisti che la animano».

La Regione Liguria il prossimo 2 giugno le tributerà un onore importante con la consegna della Croce di San Giorgio. Cos’è Genova per lei?
«Genova è rimasto il mio nido, la mia nascita. Il cordone ombelicale con la mia città non si è mai rescisso. Pur essendo ormai da tempo un cittadino romano, mi riconosco nella gente ligure e in quel tipo di umorismo che molti avvicinano a quello inglese».

Un pensiero in ricordo di Anna Marchesini ce lo regala?
«Per il grande pubblico con Anna se n’è andata un’artista miracolosa, secondo me assolutamente la migliore della sua generazione. È chiaro che se n’è andata un’amica, una sorella, una persona di famiglia con la quale amavamo cazzeggiare su tutto con la leggerezza e al tempo stesso l’intelligenza e la profondità che la distinguevano. La telefonata quasi giornaliera con Anna è una delle cose che mi manca di più. Spero di portarla sempre un po’ appresso nelle cose che faccio, come anche con Massimo. Stiamo scrivendo il nuovo spettacolo teatrale e ci ritroviamo ad avere quel tipo di complicità che c’era anche con Anna. Per cui la sentiamo per fortuna sempre presente». 

 

 

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