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Al Bano, "cosa mi ha rubato la droga". Parole pesantissime su Romina

Daniele Priori
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Il telefono continua a squillare. È il grande giorno. Quello degli 80 anni di Al Bano Carrisi. Proprio sabato, quando abbiamo incontrato il grande cantante e interprete alle prese con i suoi Quattro volte 20 che è poi anche il titolo del one man show andato in scena all’Arena di Verona. Canale 5 trasmetterà l’evento nella prima serata di domani. Sul palco col festeggiato una carrellata di ospiti, amici, colleghi: Gianni Morandi, Umberto Tozzi, I Ricchi e Poveri, Arisa, Iva Zanicchi e Renato Zero e ovviamente Romina Power.

 

 

 

Maestro, Quattro volte 20 significa che si sente un eterno ventenne? 
«Non un eterno ventenne ma un quattro volte eterno ventenne! Con tutti gli acciacchi, le gioie, le tempeste e la calma che arrivano. In una parola: la vita».
Il suo nome è il tributo che suo padre ha voluto riservare all’Albania da cui tornò salvo negli anni della guerra. Ha avuto altri contatti col Paese delle Aquile? 
«Gli albanesi mi hanno detto che io ho aperto le porte della democrazia nel loro Paese. Per questo mi hanno fatto albanese, con tanto di passaporto. Un’azione inaspettata che ho accettato come gesto di grande umanità».
Nella tenuta che ha creato negli anni a Cellino San Marco, suo paese natio, ritrova tutti i mondi che ha conosciuto oppure rivive per lo più il mondo antico di suo padre? 
«Analizzare un albero, capirne bene il processo ti farà capire chi sei tu. Come un albero che si muove che però se non avesse una radice sana non avrebbe potuto vivere una vita sana».

 

 

 


Milano la città in cui è approdato per inseguire quello che già allora era un mito: Adriano Celentano... 
«Devo tutto a Milano. È la città che mi ha insegnato ad essere quello che sono. Inseguivo il mito di Modugno. Celentano in un secondo momento è stato il mio datore di lavoro».
L’ha invitato all’Arena per la sua festa? 
«Ve ne accorgerete martedì sera. Non anticipo nulla ma vi dico che sarà interessante».
A Milano ha anche molti ricordi giovanili di altro tipo. Le difficoltà coi lavori nei ristoranti... 
«Non le chiamerei difficoltà. È stato il mio viaggio. Ho fatto tutto ciò che ho ritenuto fosse possibile e positivo da fare. Ero un ragazzo solo con gli affetti a 1100 chilometri da Milano ma non mi sono mai arreso perché quella era l’ideologia di mio padre: non arrendersi mai».
Milano è anche la città di Berlusconi, l’ha sentito ultimamente, prima del ricovero? 
«Mi sono interessato a come sta, restando però leggero come una piuma di colomba. Sono sempre vicino a lui col pensiero. Ha fatto per me delle cose che nessun altro ha mai fatto. Lui e Sophia Loren sono stati speciali. L’ho constatato nel momento del bisogno, quando stavo vivendo la tragedia di mia figlia. Sono stati gli unici due che si sono preoccupati di un loro connazionale a New Orleans, facendomi sentire la presenza costante. In quei tempi sono stati l’unica nota positiva per me. Come si possono dimenticare gesti di una umanità tale?».
Suo padre le ha sempre consigliato di stare lontano dalla politica. Ma la politica riesce a stare vicino agli italiani? 
«Lasciamo la risposta agli italiani... Non è diplomazia la mia. Abbiamo la fortuna di vivere in questo Paese. Purtroppo secondo me c’è sempre stata una politica disordinata che litigando su tutto continua a dare l’esempio sbagliato. Possibile che non si possa essere fratelli o figli dell’unica madre chiamata Italia? Un’Italia che va aiutata. Con tutte le tragedie naturali che accadono... Dal Polesine a oggi succedono le stesse cose ed è sintomatico».

 

 

 


L’avvocata Bernardini De Pace ha definito il suo divorzio con Romina il più «sanguinoso». Userebbe lo stesso aggettivo? 
«Che si calmi sennò non la chiamerò mai più De Pace ma De Guerra. Se sanguinoso è stato, una bella impostazione l’ha data lei. Prendiamoci le responsabilità. Chi è stato il generale di questa armata? Non voglio entrare in polemica. Solo mi difendo da battute che reputo infelici».
La storia di Romina che si faceva troppe canne l’ha tirata fuori giusto per festeggiare con più brio i suoi 80? 
«Non è una cosa che ho detto contro Romina ma contro la marijuana che mi ha rubato due meravigliosi mondi: quello di mia figlia e della mia famiglia. Io sono contro la droga perché fa male alla società oltre che al singolo. Contro la droga mi batterò finché avrò fiato in gola».
Romina ha capito secondo lei il senso di questa sua rivelazione? 
«Non lo so se l’ha capita. Forse gliela dovrò spiegare meglio...».
Coi suoi figli più giovani, Bido e Jasmine, parla della sorella Ylenia? 
«Non ne parlo ma penso che ne sappiano più di quanto ne so io. Se dovessero affrontare il tema, certo lo affronterei».
Lei ha due famiglie ormai da molto tempo. La definirebbe una “famiglia allargata”? 
«L’altra sera ero di fronte a un’altra famiglia di 10mila persone. La mia famiglia va dai miei figli, dalle donne che me li hanno dati a chi mi ascolta con attenzione e amore o anche muovendo qualche critica».

 

 

 


Lei è un uomo di fede. È vero che È la mia vita a Sanremo è stata censurata perché nel testo c’era la parola “bestemmiare”? 
«È una balla enorme. Che io sia contro le bestemmie è una grande verità. Quel testo non l’ho scritto io ma le garantisco che non c’è mai stata la parola bestemmiare».
C’è una figura religiosa che nei giorni della disperazione per la scomparsa di sua figlia l’ha aiutata più di altri, offrendole la parola che le ha fatto davvero ritrovare la fede?
«Ho avuto la fortuna di conoscere don Luigi Verzé. La risposta sta in tutto quello che ha lasciato per gli altri. Dall’università all’ospedale di avanguardia che ha creato. Nella preoccupazione che ha avuto sempre per seguire il popolo di Dio. Nei suoi ultimi anni un po’ strani mi disse che se il suo datore di lavoro aveva voluto così, avrebbe sopportato anche la croce su cui lo stavano inchiodando. Però si chiedeva pure come lui avrebbe potuto rubare a se stesso. Parole che non dimenticherò mai».
Lei ha conosciuto Putin che le disse di essere un suo fan...
«Era il 1986, lui era il capo del Kgb. Ci trovavamo a Leningrado. Poi ho cantato per lui in numerose altre occasioni: quando fu eletto presidente e fino a 5 anni fa a Budapest, dove c’era anche Orban. Putin era il più occidentale dei russi. Amava l’Italia. Lui ha deciso di difendere la sua territorialità ma in maniera sbagliata, perché la guerra non andava scatenata».
Se oggi potesse che cosa gli direbbe?
«Che nella vita si può anche sbagliare. Non dico di ammettere l’errore, ma una buona intenzione per terminare questa squallida e tragica guerra ci vorrebbe».

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