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Salvo Sottile, rivelazione choc: "Preso da dietro e menato"

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Roberto Tortora
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Da reporter di matrimoni a inviato del Tg5 a 18 anni, la carriera di Salvo Sottile è stata brillante, nel segno di suo padre Giuseppe, anche lui grande giornalista e scrittore, che ha lavorato anche al Giornale di Sicilia. Il Sottile figlio si è concesso in un’interista al Corriere della Sera, dove ha fatto più di una rivelazione sul suo passato, sugli inizi e sulle ingiustizie della sua infanzia: “Da bambino ero timidissimo, sono stato pure bullizzato: a scuola i miei compagni mi prendevano in giro perché ero sovrappeso e non mi permettevano di giocare assieme a loro. Ricordo un pomeriggio in cui sono rimasto solo tutto il tempo con una palla in mano: non trovavo nessuno che volesse giocare con me. La strada poi, per fortuna, mi ha svegliato”. 
Il grande salto, non senza gavetta, arriva con la nascita del TG5 di Mentana: “All’inizio risposi che non potevo partire. Per arrotondare avevo iniziato a fare anche i filmini dei matrimoni e quella settimana ne avevo tre. Era un introito importante per me. Poi però mi decisi e andai: in ascensore, in quella che un tempo era stata la famosa villa di Pippo Baudo e poi diventata un palazzo di Mediaset, beccai Mentana e Lamberto Sposini. Mentana mi disse: ‘Ma sei il ragazzetto che sta a Palermo? Sei troppo piccolo per fare questo lavoro’. Sposini invece, che era il buono della coppia, fu più clemente: ‘Vediamo dai, se succede qualcosa tu avvisaci’. Ecco, quell’anno accadde di tutto: l’eruzione dell’Etna, l’omicidio Lima, la strage di Capaci, la strage di via D’Amelio. In pochi mesi capitò in Sicilia quello che non era mai successo in dieci anni”.


E fu proprio Sottile a raccontare la Strage di Capaci: “Non avevo mai fatto collegamenti in diretta. Quando chiamai Mentana per digli della strage di Capaci, dopo che mi aveva avvisato un poliziotto, mi disse: dobbiamo fare una diretta, raccogli tutto il materiale che puoi e mando un inviato: prende un aereo e tra 2 ore è lì. In realtà non mandò nessuno e mi disse all’ultimo, per non farmi montare l’ansia, di mettermi davanti alla telecamera. Panico totale. Ma iniziammo a fare questa diretta infinita. Avevo 18 anni”.

 

 

 

Nella sua carriera, soprattutto negli anni siciliani, anche un episodio spiacevole dovuto alla sua attività di cronaca: “Non l’ho mai detto, nemmeno a Mentana, se no mi avrebbe tirato via di lì. Ma dopo quattro o cinque anni che stavo a Palermo e seguivo la cronaca nera e la mafia, una sera tornai a casa e notai che c’era una cosa diversa dal solito: un lampione era spento. Il tempo di mettere la chiave nella serratura e mi sono sentito prendere da dietro da due persone che mi hanno poi menato come fabbri. Non ho fatto denuncia perché avevo paura che mi levassero tutto. Per me era troppo importante continuare a fare quello che stavo facendo. Non ero l’inviato che arrivava, faceva un servizio e se ne andava via. Io vivevo lì. Pressioni ne avevo subite. Ricordo anche la gente che mi fermava e mi diceva: ma perché non parli del turismo? Io non credevo a quel tipo di mentalità. Poi però Mentana mi trasferì a Roma. E per fortuna”.

 

 

 

 

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