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Il libro del critico Antonacci: i miti dello spettacolo tra talento e lacrime

Pietrangelo Buttafuoco
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Cinquant’anni di spettacolo in una sala sempre più deserta. Non c’è più pubblico a teatro e Giovanni Antonucci – critico teatrale, docente di Storia dello spettacolo, drammaturgo e regista – si circonda di lettori con il suo Memorie e incontri, un libro edito da Editoria&Spettacolo (pp.254, 20 euro) con prefazione di Rocco Familiari.

Con la storia di oltre cinquant’anni di spettacolo Antonucci restituisce a tutti noi le figure di attori, registi, autori che hanno lasciato un segno nella memoria degli spettatori: da Carmelo Bene al debutto nel Caligola di Albert Camus a Tino Buazzelli – memorabile Galileo nel dramma di Bertolt Brecht – dalla coppia inimitabile Giorgio Albertazzi e Anna Proclemer ai grandi interpreti del canone pirandelliano, ovvero Romolo Valli e Rossella Falk.

C’è Vittorio Gassman – il mattatore – in questo libro in forma di palcoscenico. C’è Mario Scaccia col repertorio di Ettore Petrolini. Ci sono i fratelli Eduardo e Peppino De Filippo e c’è, infine, Gigi Proietti, ultima tra le maschere. Interpreti, questi – tra i tanti grandi della stagione felice che fu – il cui talento ha incontrato registi sommi come Giorgio Strehler, Orazio Costa, Franco Enriquez, Luca Ronconi, Giorgio de Lullo, Aldo Trionfo, Antonio Calenda.

Cinquant’anni di scena anche col cinema di Amedeo Nazzari, Giulietta Masina, Alida Valli, Marcello Mastroianni, Monica Vitti, Gabriele Ferzetti, Lando Buzzanca che Antonucci ricorda ricreandone – in ognuno – la speciale poetica che fece grande lo schermo italiano. È il teatro però, con Antonucci, a farsi mondo. Il suo stretto rapporto con Peter Brook, Tadeusz Kantor e Marcel Marceau. Kantor, che Antonucci ha scoperto molto prima che diventasse un regista di rilievo mondiale, è ritratto nel suo rigore e nel coraggio con cui si impose in una Polonia dove vigeva il “realismo socialista”.

Restò fedele a sé stesso anche quando lasciò la Polonia perl’Occidente, dove non gli mancarono critiche soprattutto da sinistra: «Ilmio atteggiamento verso il potere resta lo stesso. L’opera d’arte si crea solo al di fuori della società e delle istituzioni». La squisita maestria di Antonucci è tutta di intrecci e rimandi, giuste asole e bottoni di un’arte orba ormai di un pubblico ben avvertito: «Buster Keaton ha avuto nel cinema la stessa funzione di Samuel Beckett nel Teatro dell’Assurdo. Harpo Marx aveva creato un personaggio degno di un quadro di Marc Chagall».

Ennio Flaiano ebbe a dire di se stesso – “lo spettatore addormentato” – ma Antonucci può ben dirsi “sentinella”, ben vigile con questo libroanche prodigo di chicche: PattyPravo, scritturata per uno sceneggiato tivù rinuncia perché cantare e recitare sono per lei due mestieri incompatibili. Raffaella Carrà piange al telefono con Antonucci perché un contratto cinematografico le impedisce di essere scritturata nel popolarissimo Nero Wolfe, interpretato da Tino Buazzelli. Un anno dopo, approdata a Canzonissima, nasce una star. Fuori dal teatro, manco a dirlo. E fuori dal cinema. Tutta una luce del pop (ma è un’altra storia).

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