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Golden Globe spietati: i migranti annoiano gli americani

Marco Rocchi
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Oppenheimer a parte, che fa il pieno di premi, vincendo in cinque delle otto categorie per le quali era in lizza (tra cui miglior regia e miglior film drammatico), i Golden Globe rendono il loro tributo al cinema europeo, ignorando però completamente quello italiano, presente a Beverly Hills con Io Capitano. E ridimensionando nei fatti anche Barbie a fenomeno quasi esclusivamente commerciale, premiandone nei fatti solo il record mondiale di incassi con il Globe per il miglior blockbuster e la miglior canzone originale.

A sorpresa ma non troppo visto il successo clamoroso che continua a riscuotere nel pubblico internazionale, Golden Globe anche alla stand up comedy politicamente scorrettissima di Ricky Gervais. Segnali di un’America sempre vivace e attiva sul fronte della celluloide.

Che non premia (quasi mai) quelli da noi considerati film d’autore ma dà sempre segnali forti in termini di opinione pubblica. Forse ancora un po’ di più nelle annate elettorali a stelle e strisce come quella appena cominciata. In tal senso a Beverly Hills non si è respirata affatto l’aria da resistenza intellettuale messa in scena anni addietro dal gotha degli artisti hollywoodiani. Appena conclusa l’epica stagione dello sciopero contro i rischi a l’intelligenza artificiale espone il cinema, c’è voglia di dissacrare, restare avvinti con un bel film d’azione o celebrare il mito della grande America.

Facile capire, dunque, come poco (almeno per ora) poteva essere lo spazio e l’interesse che i giurati d’Oltreoceano avrebbero destinato a un filmone ancor più che impegnato, emotivamente dilaniante (almeno per noi), come Io Capitano. Non si è ripetuta, dunque, la magia da cui undici anni fa, già nella serata dei “globi dorati”, si lasciarono contagiare i giurati che premiarono La grande bellezza di Sorrentino, aprendole di fatto le porte per il successivo grandioso Oscar. L’epopea dei migranti seguiti in presa diretta grazie a una sceneggiatura pressoché verista, resa ancor più credibile e toccante dalla magistrale interpretazione del giovane senegalese esordiente, Seydou Sarr, è rimasta a secco di premi ma potrà ancora sperare in una affermazione nella Notte degli Oscar, sebbene ci sia da dire - senza voler sembrare troppo pessimisti che di solito il gusto americano della giuria dei Globes non differisce di molto dallo spirito e dai voti che consegneranno gli Academy Awards nelle mani dei candidati fra due mesi esatti.

LE PROSSIME TAPPE
La prossima tappa di avvicinamento alla serata di Hollywood per Garrone e il suo Io Capitano sarà comunque a giorni, il 23 gennaio, quando sarà annunciata la cinquina definitiva in lizza la notte del 10 marzo.

Frattanto nella categoria dei film non in lingua inglese, il Golden Globe se lo è aggiudicato la performance della regista Justine Triet, già vincitrice della Palma d’Oro a Cannes con il thriller Anatomie d'une chute (Anatomia di una caduta). Un genere, l’azione, certamente più prossimo al gusto dei cinefili d’oltreoceano che però non potranno replicare la premiazione a marzo, poiché Anatomie d’une chute non sarà in gara agli oscar.

Poco importa, oggi, alla cineasta d’Oltralpe che non è riuscita a contenere le lacrime per l’emozione: «È un po’ irreale, non me lo aspettavo, in particolare quando ho sentito i nomi accanto a me, quello di Scorsese, tutti i nomi annunciati nelle diverse categorie, sono molto, molto commossa e sorpresa. Non mi aspettavo due premi come questi di fila, sono estremamente colpita dell’accoglienza... et voilà!». 

Premiato come miglior commedia anche il film vincitore a del Leone d’Oro nell’80° Festival di Venezia. Poor Things, (Povere creature) di Yorgos Lanthimos al quale è andato anche il premio per la migliore attrice protagonista, Emma Stone. Con Poor Things questo è il quarto anno consecutivo che un film della Mostra di Venezia vince ai Golden Globe il premio per il miglior film (commedia o drammatico). Miglior film d’animazione Il ragazzo e l’airone del maestro Miyazaki, film più visto in Italia nei primi otto giorni del 2024. Segno di una chiarissima voglia di volare che, una volta tanto, riesce a unire il vecchio e il nuovo mondo, almeno al cinema.

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