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Netflix si piega all'antisemitismo: via le fiction come Fauda

Mario Dergani
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La realtà ha superato di gran lunga la fiction nel conflitto fra Israele e Hamas, tanto da far sbiadire anche le serie tv di maggior successo ambientate in Palestina e in Medio Oriente. Dal 7 ottobre scorso, all’improvviso, la sorgente della creatività di autori e sceneggiatori sembra essersi inaridita.

Del resto scene ben più cruente di quelle andate in onda finora sui canali sono state interpretate e allo stesso tempo girate dagli stessi terroristi islamici e diffuse in tutto il mondo, come se si trattasse di un talent show per tagliagole.

La tecnica appresa dai centri di produzione video e dagli uffici di comunicazione di Al Qaeda prima e dell’Isis in seguito ha fatto scuola, mettendo la propaganda accanto alla disinformazione nell’arsenale delle operazioni di guerra psicologica.

 

 

A farne le spese, sono sceneggiati che andavano per la maggiore, come Fauda, ripetuta dal 2015 per quattro stagioni. I suoi protagonisti erano agenti del Mossad e dello Shin Bet. Qualcuno è andato a combattere davvero e le riprese sono state fermate sia a causa del conflitto e della decisione di molti attori del cast di tornare in servizio attivo, alcuni come riservisti, altri come volontari. 

Alcuni giorni fa a el-Bureij, nel settore centrale della Striscia, uno dei suoi attori principali, Idan Amedi, è stato ferito da una fortissima esplosione mentre - assieme con altri commilitoni del genio, sei dei quali sono rimasti uccisi - si apprestava a far detonare una rete di bunker di Hamas, che conduceva a una sala sotterranea usata per la produzione di razzi.

Dall'ospedale dove era stato ricoverato, l'autore di Fauda, Avi Issacharoff, ha poi dato gli aggiornamenti sulle condizioni dell'attore: «Ora Idan si è svegliato. Reagisce ai presenti, le sue condizioni non sono più gravi» Issacharoff ha aggiunto che adesso le sceneggiature che aveva nel cassetto non sono più rilevanti.

Come lui, altri autori di serie televisive sono stati costretti a sospendere il lavoro per l’atmosfera di incertezza che si è creata fra gli operatori televisivi in Israele.

 

 

Secondo il quotidiano Haaretz -, un fattore determinante è la cautela degli investitori stranieri. «Finora ai nostri partner europei piaceva lavorare con noi - ha detto, in forma anonima, uno dei producer israeliani. - Ci sono attori europei che hanno paura di partecipare a serie israeliane».

Analoghi problemi sorgono negli Stati Uniti. Perfino la celebre serie Tehran ne ha risentito. Apple Tv ha trasmesso le prime due stagioni ma dopo il 7 ottobre ha chiesto di fermare la stesura della sceneggiatura della terza stagione. Poi il lavoro è ripreso ma, secondo la produttrice, «c’è ancora molta incertezza».

Secondo Haaretz forti perplessità per il futuro giungono anche da Netflix, che ha bloccato due serie: Border Patrol e la serie comica Nell'acqua e nel fuoco di Hannan Savion e Gay Amir. Spettacolo e guerra si sono in questo caso tragicamente incrociati in quando il tecnico del suono della serie, Lior Weizman, è stato ucciso il 7 ottobre da terroristi di Hamas. Secondo Haaretz esiste il timore che, alla luce delle proteste sviluppatesi nel mondo occidentale, Israele rischi di «diventare come la Russia», ossia una presenza non gradita. Altri invece scommettono che, dopo una pausa di riflessione, i prodotti televisivi israeliani, noti per la loro qualità e per la loro profondità, torneranno a essere molto richiesti sul mercato internazionale.  

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