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Che Sarà, ormai la Bortone vede camice nere dappertutto: nuova chiassata

Michele Zaccardi
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A guardare Chesarà, su Rai3, sembra che sia ancora il 25 aprile. Già, perché la puntata di ieri, dopo il caso della presunta censura ad Antonio Scurati, è stata dedicata al glorioso mito fondativo della sinistra: l’antifascismo. In mancanza di altro, e di meglio, ai media progressisti, infatti, non resta che suonare lo spartito scritto dal Pd. Il tutto con il solo obiettivo di attaccare il governo sull’unico tema che ancora, almeno questo ritengono da quelle parti, tira ancora. E cioè accusare il governo, e nello specifico Giorgia Meloni, di essere fascista. Questione di ascolti, e di soldi, insomma. Puro business.

E dunque il programma di Serena Bortone, finita sulla cresta dell’onda per aver denunciato la presunta censura di Scurati, è stato dedicato a un’analisi storica del fascismo, per la gioia di quei (pochi) telespettatori ancora convinti che Mussolini sia tornato. E così la puntata si è aperta con l’intervista all’ex parlamentare comunista, Luciana Castellina. Dopo aver detto che l’Ungheria di Orban è un pericolo per l’Europa, alla domanda se veda il rischio di una deriva illiberale anche in Italia ha risposto che, sì, in effetti, da noi «c’è un rigurgito fascista» che deve «farci riflettere». E poi alla Castellina dà «fastidio» che il governo attuale si definisca conservatore perché, beh, «non c’è nulla da conservare». Anche perché, secondo l’ex eurodeputata «Meloni è una fascista intelligente, che è sempre meglio di essere un fascista stupido. La apprezzo... Sto scherzando». Poi è il turno dell’ex ministro ai tempi del governo D’Alema, Giovanna Melandri, che sostiene che «Meloni non riesce a dirsi antifascista perché, probabilmente, non lo è». Ma il «vero pericolo» dice Melandri, è « l’afascismo». Dopo un breve interludio dedicato al generale Vannacci, con l’ovvio proposito di farlo passare per un fascista, la trasmissione vira sulla libertà di stampa. È il turno di Nicola Lagioia, che declama il suo monologo sulla censura.

Parte da Totò e Pertini, passando per lo scrittore russo Bulgakov, arriva al fascismo che «mandò al confino Carlo Levi», e giunge ai casi di censura del cinema nell’Italia del Dopoguerra. Finito l’intervento di Lagioia, tocca a Francesco Guccini che manda un video nel quale parla dell’importanza di essere antifascisti. «Non capisco, o meglio, lo capisco benissimo» dice il cantautore, «perché qualcuno faccia ancora fatica a definirsi antifascista». Alla fine è il turno del giornalista del Corriere, Federico Fubini, in studio per presentare il suo libro su Niccolò Introna. E chi era costui? Ovviamente il direttore generale di Bankitalia ai tempi di Mussolini, a cui il regime impedì di fare carriera perché era antifascista. Le camicie nere, insomma, si vedono ancora soltanto su Rai3.

 

 

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