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Guglielmo Marconi, quel fascista riottoso che inventò il futuro

 Stefano Accorsi

Francesco Specchia
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«Pensa se l’aria, solo l’aria, potesse trasportare la nostra voce, i nostri pensieri: milioni di parole portate da onde invisibili...». Così, con levità alla Calvino, nel tumulto del suo cuore da radiotelegrafista, un giovane Guglielmo Marconi si rivolge alla petulante cugina americana Daisy. Marconi sta descrivendo il futuro del mondo che egli stesso sarà destinato a disegnare. Lei non capisce ma si adegua, e, innamorata, sospira. Lui, invece, respira il sogno, roba che evoca «Stay Hungry, Stay Foolish» (e fin da subito si mette in chiaro che Steve Jobs ebbe in Guglielmo un unico, grande maestro).

LA GRANDE VISIONE - Così, nella visione del premio Nobel descritta dall’annunciatissima fiction in onda lunedì e martedì su Raiuno Marconi- L’uomo che ha connesso il mondo (regia assai efficace di Lucio Pellegrini per Stand by me) l’Italia inizia festeggiare i cent’anni dalla nascita del «padre della telegrafia senza fili, inventore della radio e pioniere delle moderne telecomunicazioni», nonché mito ora patriottico ora patriottardo, e spot vivente dell’italico ingegno. Ecco.

Partiamo da quest’immagine del giovane Guglielmo ai primi del 1900, autoesiliatosi nella soffitta della magione paterna nella campagna bolognese, un po’ prima di riuscire nel suo spiazzante esperimento del telegrafo senza fili (davanti ai genitori, svegliati nella notte). Quest’immagine del Marconi ventenne è contenuta nell’altra immagine. Quella del Marconi maturo mentre scava nel suo passato durante un’intervista a Isabella Gordon, giornalista italoamericana che si scoprirà triplogiochista: prima aspirante documentarista hollywoodiana; poi al servizio dell’Ovra ossessionata dai segreti delle invenzioni dello senatore-scienziato notissimo a livello planetario; infine terminale dei servizi americani che monitorano la pericolosità del fascismo in ascesa.

A prima vista, per inciso, l’intervista sembra il solito espediente narrativo stile Piccolo grande uomo: il microfono, o il taccuino o –come in questo caso- una cinepresa da documentario si trasformano nello strumento per attraversare i momenti topici delle vite del protagonista. Invece, qui, l’intervista si realizzò davvero, anche se la giornalista si chiamava, in realtà, Lisa Sergio. Ed era l’ex traduttrice dei discorsi di Mussolini; e realmente si concesse agli spioni americani –e non solo a loro-; e venne realmente aiutata nella sua fuga dal regime fascista grazie allo stesso Marconi. Sicché, a strascico, emergono tutti i momenti topici che, seppur romanzeschi, nella produzione Rai rispettano la realtà storica Sono momenti che, soprattutto, eludono l’ «effetto-santino», l’ineleganza dell’agiografia sempre dietro l’angolo.

Marconi è interpretato dall’ottimo Stefano Accorsi che, quella sua aria alla Robert Redford forse, dall’Elettra il suo piroscafo/residenza gigioneggia troppo con le donne rispetto al modello originale. Marconi, qui non è affatto un eroe. È un italiano medio che, in un certo frangente ha uno scatto d’orgoglio: litiga col Duce, sfianca le sue ambizioni littorie, si stacca dal branco e assume dimensione d’onore nei momenti di difficoltà.

Marconi è un senatore fascista che acclama il Duce; ma corregge il suo ministro Bottai quando dice che la «scienza si coordina, non si comanda perché è libero per definizione». Marconi utilizza i fondi littori della ricerca scientifica tesa sì a fini militari; ma, nel contempo, difende la propria missione di scienziato, attraverso frasi stentoree del tipo «un’invenzione, per me, è una visione e la capacità di realizzare concretamente quella visione nel mondo per essere utile all’umanità». Marconi crede, almeno all’inizio, sinceramente nel progetto culturale del regime, eppure comincia a dubitarne quando Enrico Fermi e i ragazzi di via Panisperna scoprono il potere distruttivo del nucleo spezzato in due e le loro mogli ebree vengono minacciate dalla leggi razziali.

Marconi tollera e talora comprende l’ansia del controllo fascista; ma si spaventa quando trova una cimice nel suo ufficio di Villa Pamphili, e dunque nasconde gli esperimenti sulle microonde che bloccherebbero i motori delle automobili e, quindi, dei carrarmati. Marconi sembra nutrite il mito tutto fascio del “raggio delle morte”; ma poi, di fatto, certifica che si tratta di una potente minchiata ad uso di marketing del regime.

La fiction è sontuosa, ben prodotta, si muove spedita sui dettagli. Ogni macchina, ogni radio, ogni bobina magnetica che vi appare, appartiene all’originale patrimonio del Museo Marconi diretto dalla tignosa Barbara Valotti. La scena della prima trasmissione senza fili che sancisce che l’inizio della telegrafia con i suoi aquiloni che rubano le frequenze radio nel cielo captate da terra, a cento metri da terra, sono ricostruite alla perfezione; le location sono quelle originali, da Villa Torlonia alla Sala del Mappamondo a Palazzo Venezia. Certo che la drammatizzaione dei villain di turno. Per esempio Giuseppe Bottai futurista, ministro dell’educazione nella realtà apprezzato fautore di una longeva legge sulla scuola, qui viene descritto con la spietatezza del Dottor No, l’indimenticato cattivo dei film di 007. E qui si fa latore del peggior mussolinismo, attraverso con frasi del tipo «abbiamo bisogno di bravi giornalisti che sappiano raccontare la grandezza del nostro paese». E così commissiona alla Gordon, non per spirito culturale «una pellicola per ogni grande italiano: D’Annunzio, Pirandello, Marinetti e, Marconi di cui però deve scoprire a cosa sta lavorando, all’uso civile e, soprattutto militare delle microonde» (sembra citata tutta l’attuale polemica sul “dual use” dell’impiego bellico dell’ottica di precisione israeliana...)».

UN PAESE STRANO - E ancora: «Marconi sembra affabile ma, sotto sotto è un uomo ambiguo e pericoloso» fa dire al suo assistente Achille Martinucci, figura inventata ma che rappresenta il peggio del peggio dei gerarchi della vulgata: illiberale, cospiratore, servo di un potere rabbioso, violento verso la propria amante, la solita Gordon. Ne esce una fiction biografica venata di spy story, il racconto (già iniziato con Mameli-il ragazzo che sognò l’Italia di Ago Panini) di un italiano superiore alla media, che si consegna alla Storia cambiando la narrazione di un Paese attraversato dalla tenace tendenza a sottovalutarsi...

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