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Guglielmo Marconi, quel fascista riottoso che inventò il futuro

 Stefano Accorsi

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«Pensa se l’aria, solo l’aria, potesse trasportare la nostra voce, i nostri pensieri: milioni di parole portate da onde invisibili...». Così, con levità alla Calvino, nel tumulto del suo cuore da radiotelegrafista, un giovane Guglielmo Marconi si rivolge alla petulante cugina americana Daisy.

Marconi sta descrivendo il futuro del mondo che egli stesso sarà destinato a disegnare. Lei non capisce ma si adegua, e, innamorata, sospira. Lui, invece, respira il sogno, roba che evoca «Stay Hungry, Stay Foolish» (e fin da subito si mette in chiaro che Steve Jobs ebbe in Guglielmo un unico, grande maestro).

 

 

Così, nella visione del premio Nobel descritta dall’annunciatissima fiction in onda lunedì e martedì su Raiuno Marconi- L’uomo che ha connesso il mondo (regia assai efficace di Lucio Pellegrini per Stand by me) l’Italia inizia festeggiare i cent’anni dalla nascita del «padre della telegrafia senza fili, inventore della radio e pioniere delle moderne telecomunicazioni», nonché mito ora patriottico ora patriottardo, e spot vivente dell’italico ingegno. Ecco.

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