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Taylor Swift, "Forte come un uomo". E la sinistra grida al patriarcato

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Ginevra Leganza
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Carlo Verdelli, già direttore editoriale della Rai più intelligente, quindi direttore di un Oggi non più da barbieri ma da sciure, contesta le parole di Taylor Swift a San Siro: «Mi fate sentire potente come un uomo». «Avesse detto “mi fate sentire potente come una donna”», sentenzia Verdelli su X, «non cambiava il mondo ma lo spingeva un po’ più avanti».

Ed ecco. Più che con la canicola estiva, è forse con l’inverno che si spiega il fenomeno Taylor Swift. Inverno demografico, s’intende, e conseguente innalzamento dell’età media. Ché se i trenta sono i nuovi tredici, oggi, l’età adulta è la meglio gioventù... Ed eccoci a San Siro dove, ieri e ieri l’altro, le oltre 60mila fan accorse per la Valchiria in tour (“Eras tour”) erano all’incirca trentenni che il biglietto avevano acquistato, come quindicenni in estasi, l’anno scorso (a novembre 2023 era già tutto esaurito); così come, a latere delle fan (o fanatiche, fate voi), erano i critici più adulti, e sibillini, che twittavano un po’ frettolosamente.

 

 

 

Sicché, fra bracciali dell’amicizia (in età da marito) e consigli non richiesti alla popstar, il concerto era anzitutto questione di scompiglio anagrafico, si capisce. Ed è sempre questione di mondo che cambia, il successo della 34enne nata a West Reading, Pennsylvania, forgiatasi nel country e poi passata al pop. La ragazza tutta glitter e gridolini che genera trance nelle vitellone nonché grande attenzione fra i grandi: dai giornalisti italiani agli ottuagenari presidenti Usa (Biden) sino ai rivali poco più giovani che le aizzano contro i troll (Trump).

Perché, venendo al punto, Taylor è un fenomeno che spiega meglio il mondo che non sé stessa. E assai meglio delinea i contorni di chi la segue o la emenda (nel suo essere femminista ma non troppo) di quanto non delineino i testi delle sue canzoni. Anche perché, si sa – o perlomeno dovrebbe sapere chiunque, prima di twittare, abbia ascoltato almeno un suo testo o visto almeno un video – Taylor Swift, che non è Simone de Beauvoir, nei motivetti non dice niente (e per niente s’intende niente). Al limite, dolori e aspirazioni basiche. Cuori spezzati, fidanzati disgraziati, gatti di razza ragdoll che zampettano sui pianoforti e poi sottane, paillettes e ancora sottane e quant’altri smalti sul nulla...

Smalti e glitter che nei giorni scorsi hanno calcato Milano, il palco di San Siro, dove il picco massimo ci risulta esser stata l’esibizione di The Man, inno femminista eseguito insieme a 16 ballerini, dove Taylor canta e ripete – tipo mantra – “If I was a man”: se fossi un uomo. Se fossi un uomo farei, direi, avrei... Imperlando così condizionali e doglianze del nuovo millennio cui fa da controcanto, il tweet di Verdelli (“S’i fosse Taylor...”). Verdelli che critica e emenda – ve l’avevamo detto – pur non conoscendone il repertorio. Pur non sapendo che nella canzone di punta la Valchiria canta: “Se fossi un uomo...”.

 

 

 

E che dunque si autocita, la Valchiria, allorché ringrazia le vitellone che la fanno sentire “come un uomo”. Forte e potente. Ma insomma, l’avevamo premesso. Taylor Swift, che a San Siro tiene insieme mamme e figlie (Laura Pausini con figlia), Taylor che convoglia politici (Beppe Sala) e che a Londra richiama i reali al completo (i secondi e terzi in linea di successione), ecco che questa Taylor – dicevamo – è l’espressione di un mondo più che di sé. È la demiurga di un universo dove a trent’anni il massimo cui s’aspira, per capirci, è la donna relatable. Cioè la ragazza che – pur miliardaria, Valchiria, bionda e di gentile aspetto – resta sempre “riconducibile”. Fata madrina del ceto medio e femminista della porta accanto. Liceale nel cuore, per quanto superi gli anni di Cristo, e post adolescente ancorché sposti, col tour in Italia, 180 milioni di euro (fonte Confcommercio). Ed è ancora un universo, questo plasmato da Taylor, dove i commentatori commentano, come a 16 anni, senza prima leggere il testo. E dove i capi di Stato – e presto anche i capibastone – spostano il mondo a sinistra in forza di gattini e paillettes. Un universo surreale, insomma, che tuttavia, a dispetto dell’inverno demografico, ci regala un eterno tempo delle mele.

 

 

 

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