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Iginio Straffi, "Io, Walt Disney italiano. Grazie alle Winx ho creato un impero"

Alessandra Menzani
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Lo chiamano il «Walt Disney italiano» ma sarebbe più corretto definirlo europeo perché la sua casa di produzione Rainbow non ha uguali nel continente. Nel 2004 ha inventato il mondo delle Winx, che gli ha permesso di reivestire e crescere. Poi ci sono stati i 44 gatti. L’ultima creatura seriale del visionario disegnatore e produttore Iginio Straffi, che si è fatto le ossa per Sergio Bonelli durante gli anni dell’università, è una saga ambientata in fondo al mare, un mix di magia e coraggio, che sta dominando le classifiche in oltre 50 Paesi del mondo grazie alla diffusione su Netflix dallo scorso 22 agosto. È al primo posto della categoria Serie Tv Kids.

Straffi, come è nata l’idea della serie d’animazione Mermaid Magic, ambientata nell’oceano?

«Volevamo creare una nuova saga per ragazzi che potesse divertire anche i grandi. Abbiamo attinto dal mito delle sirene, dei tritoni, di Atlantide, puntando sul mare anche perché è un bello spunto per parlare di ecologia e ambiente. È una fiaba, c’è un mondo magico, con le creature del mare che arrivano sulla terra per salvare il loro mondo. La serie racconta le avventure dell’impavida principessa Merlinda e le sue amiche sirene guerriere Sasha e Nerissa per combattere il malvagio pirata Barbarossa».

 

 

 

Ci parli dello sforzo produttivo...

«Grazie a Netflix abbiamo avuto una certa libertà di scrittura e enormi mezzi produttivi tra la casa madre Rainbow, Rainbow Cgi di Roma, gli Studios canadesi Bardel, abbiamo avuto l’apporto di grandi professionisti per gli aspetti di supervisione dell’animazione e dello storyboard. Il successo, dico sempre ai miei collaboratori, è difficile da prevedere, non c’è mai alcuna certezza...».

Ma...

«Sicuramente una serie come questa, per come è scritta, non può passare inosservata. È talmente sofisticata e curata da sembrare cinema. Poi il successo dipende da quanto i personaggi possono piacere. La grande soddisfazione è essere primi nel mercato inglese, americano, canadese, e anche in quello francese che non è facile. E poi Germania, Australia e Nuova Zelanda, Messico e Brasile, Singapore, Sudafrica e Turchia».

L’animazione americana, si sa, la fa da padrone, pensiamo al successo recente di Inside Out 2. Quentin Tarantino ha detto che il suo film preferito in assoluto, di tutti i tempi, è Toy Story 3. L’animazione italiana come sta?

«È in stallo. C’era stata una certa aspettativa per il nuovo decreto sugli investimenti di parte del fatturato nell’animazione, ma poi non c’è stata unanimità dei ministri. Peccato. Tutti i Paesi floridi dovrebbero avere una certa attenzione per i ragazzi che saranno gli adulti di domani. Servono investimenti. Solo la Rai ha un budget annuale. In Italia parecchi milioni di persone lavorano nel settore».

Quanto le hanno cambiato la vita le Winks, nate 2004 (che sabato a Rimini saranno celebrate con una grande festa per i 20 anni dall’esordio)?

«Beh, ovviamente tanto. Quel successo ci ha permesso di creare nel quartier generale di Rainbow nelle Marche un vero campus, quei guadagni ci hanno fatto reinvestire per la crescita e lo sviluppo dell’azienda. Poi sono arrivati 44 gatti che hanno avuto ottimi risultati. Cito anche Tommy&Oscar, PopPixie, Huntik – Secrets & Seekers, la produzione 3D Gladiatori di Roma, Regal Academy, tre film CGI Winx Club e il recente successo live action Maggie & Bianca Fashion Friends».

C’è qualche cartone “concorrente” che le suscita qualche particolare invidia? O avrebbe voluto fare lei?

«Non sono un invidioso, ma le racconto due episodi, un paio di soggetti che mi avevano portato i miei collaboratori e mi sono lasciato sfuggire. Uno di loro voleva adattare la principessa delle nevi. “Facciamo un film sul passato delle streghe Trix”, mi disse. Ma io pensai che non era il momento e fosse meglio puntare ancora sulle Winx...».

E poi è arrivata Elsa di Frozen, la regina dei ghiacci...

«Bravissima, arrivò dopo cinque anni da quella proposta. Accidenti. Poi l’altro episodio riguarda Cattivissimo Me, che non molti sanno essere francese, inizialmente. Arrivato oggi al quarto capitolo della saga, nei cinema, era un progetto troppo ambizioso per l’Europa. Quindi fu ceduto con regolare contratto oltreoceano: figura come un prodotto a stelle e strisce ma in realtà è un esempio di creatività europea. Poi ho un altro rimpianto, ma al contrario».

“Mermaid Magic”, la nuova serie italiana ideata e prodotta dal visionario Iginio Straffi (nella foto a sinistra), debutta al primo posto della categoria Serie TV Kids di Netflix. Partita il 22 agosto, sta appassionando adulti e bambini in tutto il mondo tanto da essere la più vista in oltre 50 Paesi. Iginio Straffi, fondatore e presidente di Rainbow, aveva già creato nel 2004 il fenomeno delle “Winx”.

«Per tre anni ci siamo impegnati a fondo in un lavoro dove la Rainbow ha espresso al massimo la professionalità dei propri creativi», commenta Straffi

Ci dica.

«Ogni fatina dello spin-off delle Winx aveva un potere magico diverso. Volevamo realizzare delle sfere “magiche” di PopPixie ma eravamo in licenza con i giapponesi che hanno voluto fare qualcosa di più tradizionale. Quindi niente sfere. Era il 2010 circa. Nel 2018 cosa arriva? MGA entertainment realizza le sfere Lol, un grandissimo successo. Ha presente?».

Eccome. La chiamano il Walt Disney italiano, cosa ne pensa?

«È ovviamente lusinghiero. Un paragone enorme. Fin dal primo prodotto ho sempre desiderato realizzare qualcosa che potesse essere esportabile. A livello europeo non c’è un’azienda d’animazione paragonabile a noi. Quindi se mi dicessero...”Walt Disney europeo” sarei ancora più onorato». Prossimi progetti? «Tanti. Le Winx torneranno dopo otto anni. Un progetto di livello altissimo, speriamo di conquistare tanti nuovi fan. A ottobre presentiamo il live action de I Gormiti con effetti speciali. Ma ci sarà tempo per parlarne». Lei ha tre figlie dai 5 agli 11 anni. Le danno suggerimenti sui personaggi? «Sono fan delle Winx, l’ultima di Marmaid Magic, con le amichette commentano i personaggi. Ma bisogna stare attenti, mai fare l’errore di prendere i propri figli come rappresentativi del pubblico. Quasi mai è così. Perché sono cresciute in un ambiente particolare. Quindi è bene sempre fare focus group. Ogni tanto comunque guardano la concorrenza. È ovvio»

 

 

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