Maurizio Ferrini: "Ho passato un anno solo a pregare"

di Daniele Priorilunedì 26 maggio 2025
Maurizio Ferrini: "Ho passato un anno solo a pregare"
6' di lettura

Maurizio Ferrini ha le idee chiare. Nette come quelle del suo epico Comunista a Quelli della notte e popolane come l’animo dell’intramontabile Signora Coriandoli. Pochi ma grandi amici veri, anche nel mondo dello spettacolo: «Sono l’unico ad aver lavorato ed essere stato amico fraterno dei tre più grandi creatori di televisione: Renzo Arbore, Antonio Ricci e Gianni Boncompagni», racconta a Libero l’attore romagnolo. Le radici salde a Cesena, la vita oggi a San Marino «che non è un estero dorato ma popolare come l’animo della gente romagnola e mi ha accolto benissimo».

Maurizio Ferrini è di fatto un antidivo e ne va fiero. «Frequento poco i social ma credo di aver avuto mezzo hater l’anno, ovvero un hater ogni due anni», scherza. «Con me la cattiveria umana ha poco da giocare». Il grande sogno è portare i suoi due personaggi più riusciti, il Comunista e la Signora Coriandoli, sul grande schermo cinematografico «Sarebbe il compimento di un cerchio. Perfetto come aglio e olio sugli spaghetti al pomodoro».

Arbore ha fatto la storia, si cerca un erede

«L’idea mi venne pensando alle riunioni di condominio, ma anche alle conversazioni di noi nottambuli a Foggi...

Maurizio, partiamo dall’inizio. Come è avvenuto il suo incontro con Renzo Arbore?
«Una storia lunga un anno, iniziata ad aprile del 1983. All’epoca facevo i miei personaggi in un teatrino a Cesena. Feci una registrazione su vhs con l’idea di inviarla a Renzo Arbore. Solo che, non sapendo come trovarlo, la affidai nelle mani di Nicoletta Braschi che allora era fidanzata da pochissimo con Roberto Benigni. Lei a una festa riuscì fortunosamente a infilare la videocassetta nel cappotto di Renzo. Lui mi cercò al telefono nell’agosto del 1984, chiamando casa di mia mamma, una delle donne che hanno ispirato la Signora Coriandoli, che quando tornai a casa mi disse: “Maurizio, ti ha chiamato Arbore” come se mi avesse telefonato un amico di scuola. Lo richiamai e lui mi disse che aveva visto con degli amici la cassetta, si era divertito e mi avrebbe voluto in un suo programma. Così dopo altri sei mesi, quindi nel 1985, ci vedemmo a Roma. E da lì nacque il famoso personaggio del Comunista che tutti conoscono».

Per il quale lei ha raccontato di essersi ispirato a suo padre. Mentre per la Coriandoli a sua madre. Praticamente la sua è una azienda a gestione familiare...
«Beh, i personaggi nascono da un insieme di persone. Parenti, amici, vicini di casa. Mia zia Elsa, sorella di mio babbo e poi la dirimpettaia Ada Ronconi e altre figure femminili che avevano popolato la mia infanzia. Io faccio un lavoro continuo di ricerca sulle figure che mi ispirano. Perché la Coriandoli in realtà è un personaggio complesso. Così il Comunista. C’è molto di mio padre ma anche di mio cugino, figlio del fratello di mia madre».

Ma sua mamma si chiamava davvero Coriandoli di cognome?
«No, no (sorride). Si chiamava Rina Giovannini. Coriandoli è stata un’invenzione di Gianni Boncompagni».

Ho sentito dire che lei si arrabbia se la Signora Coriandoli viene definita un «drag queen». Perché?
«Perché rappresenta l’esatto contrario. La drag queen è una persona transessuale, un uomo che si veste marcatamente da donna per uno spettacolo tra virgolette nei quali ci sono moltissimi riferimenti sessuali, ambigui affinché l’attrattiva erotica sia rilevante. La Coriandoli, invece, dice che non concepisce gli uomini che si travestono da donna. Io sparisco dietro il personaggio perché chi guarda quasi si dimentichi che lì c’è un uomo nei panni di una donna. Il gioco, quindi, non è proprio quello della drag queen. Loro sono uomini truccatissimi che imitano le dive dello spettacolo, io invece interpreto la Coriandoli come se fosse un medico, un poliziotto. È solo un caso che si tratti di una donna».

Sta di fatto che, restando nell’ambito di casalinghe un po’...particolari, la sua Coriandoli è nata qualche anno prima anche della celebre Mrs Doubtfire interpretata da Robin Williams che la fece uscire nel 1993. Giusto?
«Lanciammo la Coriandoli a Domenica In nell’ottobre del 1989, un mese prima della caduta del Muro di Berlino».

Poi però c’è stata anche un po’ di bassa marea nella sua carriera. Come ha trascorso quella fase più complicata?
«C’è stato un momento in cui ho iniziato a dire “no” a tutte le proposte perché mi ero rotto le scatole di lavorare e mi sono messo a girare il mondo. Sono un grandissimo viaggiatore, un bibliofilo. Poi, certo, è normale che se scendi dall’autobus dello spettacolo e passi molto tempo dedicandoti a viaggi e letture, vedendo che sei sparito, non ti chiamano più... Poi, siccome tutti quelli che spariscono sono depressi, rincoglioniti o dediti alle droghe, la gente si fa domande.
Ma io non ho nessuno di questi problemi. Mi deprimo vedendo come va il mondo, questo sì, come capita credo a chiunque. Anzi, viaggiare in realtà mi ha aiutato a crescere come persona e aumentato la mia fede cattolica. Ho trascorso molto tempo in preghiera».

Ha amici veri nel mondo dello spettacolo?
«Sì. Uno è sicuramente Renzo Arbore. Nino Frassica è il mio più grande amico, così come credo anche io per lui. Poi sono molto legato ad Antonio Ricci e al ricordo di un altro grande che purtroppo non c’è più: Gianni Boncompagni. Cito Antonio Ricci in questa intervista non a caso perché lui è l’unico che, dagli anni 80 ad oggi, è un po’ come se avesse continuato a fare Quelli della notte ininterrottamente, sempre con lo stesso successo, prima con Drive In, poi con Striscia, un impegno quotidiano con un gradimento stellare e senza flettere negli ascolti. Anche lui è stato un grande innovatore».

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Lei ha anche recitato in film cult. Qual è quello a cui è più affezionato?
«Li ricordo tutti con affetto e non credo ci sia una graduatoria però se devo dirgliene uno penso al primo che feci, Il commissario Lo Gatto, film del 1986 nel quale mi onorai anche di recitare al fianco di Lino Banfi, diretto da Dino Risi che, da giovane psichiatra milanese di famiglia alto borghese, arrivò ad essere un maestro della commedia all’italiana. Risi tra tutti è il il regista che a mio giudizio ha fatto i film italiani meno local, di maggior respiro internazionale. Poi ci fu anche un film a episodi che uscì in televisione. Si intitolava Animali metropolitani nel quale fui diretto da Steno, il papà di Carlo e Enrico Vanzina. Fu molto bello poi anche Compagni di scuola di Verdone...».

Due estati fa la sua Coriandoli è diventata anche interprete di un tormentone estivo: La menopausa intesa come come “vampata di libertà”. Come le è venuto in mente?
«Non è balenato a me l’idea ma a tre autori piemontesi Franco Fasano, Gianfranco Grottoli e Andrea Vaschetti che sono venuti a Sanremo, dove io facevo l’ospite nel programma della Bortone, per portarmi questo pezzo su un tema che le donne tendono a esorcizzare. Al centro c’è la libertà e l’idea che in fondo la menopausa non sia altro che il terzo tempo della pubertà».

Il ruolo al cinema o in televisione che le piacerebbe interpretare?
«Vorrei poter dare una veste cinematografica multidimensionale ai miei due personaggi del Comunista e della Signora Coriandoli. Sarebbe un coronamento e una risposta a chi più volte mi ha chiesto se mi fossi sentito prigioniero di questi ruoli. Non mi sono mai sentito prigioniero, anche perché devo dire la verità, ho avuto la fortuna di lavorare con Arbore e Ricci due maestri che, pur non facendo cinema, riescono a tirare fuori anche in tv le personalità a tutto tondo dei loro protagonisti. Per farle capire, quando facevamo le prove di Quelli della notte, a casa di Renzo, si usava il metodo del cinema. Si entrava nel personaggio e non se ne usciva più. Al massimo ce ne liberavamo un po’ durante la pausa per lo spuntino ma, per il resto, sembrava proprio che stessimo preparando un film».

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