Chissà chi o cosa gliel’avrà fatto fare. Morire per le poche migliaia di lire con cui venivano pagati gli articoli dei collaboratori di provincia. Questa era la domanda più comune ma anche la più lontana dal modo di vedere il mondo di quel ragazzo con lo sguardo acuto, incorniciato da un paio di occhialini adatti a conferirgli il fascino dell’intellettuale, rimesso però ben presto in discussione, nello spazio di pochi centimetri, dalle fossette ai lati di un sorriso rimasto per sempre da “scugnizzo”, figlio testardo e innamorato di una Napoli che doveva poter cambiare.
Giancarlo Siani è morto così, il 23 settembre del 1985, giorno in cui fu crivellato di colpi e ucciso a pochi passi da casa sua, nel cuore del centro di Napoli. Con queste idee nella testa e questi valori nel cuore. Da esplicare con l’entusiasmo e la fede civile in un giornalismo cui sacrificare tutto, a cominciare proprio dalla sua giovinezza.
Un ragazzo cresciuto presto. Arso dalla passione e dall’entusiasmo per la professione del cronista vissuta come missione che già ad appena vent’anni l’aveva portato a scendere nella ruvida trincea del racconto dei fatti di camorra a Torre Annunziata.
Aveva solo 26 anni quando è stato ammazzato. Una carriera appena iniziata ma già così compromettente da costargli una condanna a morte da parte di quelle famiglie criminali che lui, coraggiosamente, con i suoi articoli su Il Mattino, aveva iniziato a combattere pancia a terra, senza paura e purtroppo anche senza troppe protezioni, forse nessuna. E un’automobile, a bordo della quale è stato ucciso, assolutamente riconoscibile. Giancarlo viaggiava su di una “avventurosa” Citroen Mehari verde completamente decappottabile.
La Rai omaggerà la storia di straordinario eroismo di Siani con una prima serata, martedì sera, 23 settembre, alle 21,15, proprio nel giorno del tragico anniversario, con un nuovo documentario in prima visione: Quarant’anni senza Giancarlo Siani.
Prodotto da Combo International in collaborazione con Rai Documentari, il film ricostruisce non solo la vicenda umana e professionale di Siani, ma anche ciò che accadde dopo: annidi silenzi, di piste sbagliate, di depistaggi, fino a quando – nel 1993 - un gruppo di giovani magistrati, investigatori e giornalisti decise di non arrendersi. Da quella determinazione nacque il cosiddetto Pool Siani formato dal pubblico ministero Armando D’Alterio, dal capo della Squadra Mobile di Napoli Bruno Rinaldi e da un nucleo di giornalisti del Mattino: Pietro Gargano, Pietro Perone, Giampaolo Longo, Maria Rosaria Carbone - che insieme riuscirono a risalire al movente e agli autori del delitto. La scrittura porta la firma di Pietro Perone, testimone diretto di quegli anni, e di Filippo Soldi, regista e sceneggiatore pluripremiato (Nastro d’Argento, Globo d’Oro, finalista ai David di Donatello). Tutti coautori di una lunga testimonianza a più voci grazie alla quale emerge a tutto tondo il profilo umano di quel ragazzo che non aveva nessuna voglia di arrendersi e, a suo dire, nemmeno tanta paura perché lui raccontava solo notizie vere e chi è dalla parte della verità non ha nulla da temere.
Il punto, spiega il fratello del giornalista nel docufilm, è che alla cronaca Giancarlo univa magistralmente anche le analisi e le spiegazioni di come e attraverso quali canali si articolava la criminalità organizzata a Napoli e provincia. Particolare che, a quanto pare, gli costò l’esecuzione a freddo che, tra le ipotesi, pare sia stata concordata anche con la mafia siciliana.
A rendere ancora più intenso il racconto è la voce di Toni Servillo, che nel docu legge alcuni articoli di Siani agli studenti del liceo Giambattista Vico di Napoli, la sua scuola.
«Raccontare Siani significa parlare alle nuove generazioni e ricordare che la verità non è mai un bene scontato», ha spiegato Luigi Del Plavignano, direttore di Rai Documentari. «Con questo lavoro continuiamo il percorso che ci siamo dati: offrire al pubblico storie che aiutino a capire il presente attraverso figure e vicende che hanno segnato la nostra storia civile». Con l’aiuto di testimonianze, materiali d’archivio e ricostruzioni grafiche firmate dall’illustratore Giancarlo Caracuzzo, il documentario restituisce il ritratto vivo di un ragazzo che con lucidità e passione aveva saputo raccontare la penetrazione della camorra nella società. Un racconto necessario, che fa di Giancarlo Siani non soltanto una vittima della violenza criminale, ma il simbolo di un giornalismo libero, coraggioso e civile.