Libero logo

Giuseppe Verdi? Basta, riscopriamo i maestri dimenticati

Nei cartelloni soliti nomi e solite opere: perché di Puccini propongono sempre la "Tosca" e non "La fanciulla del West?"
di Roberto Coaloagiovedì 9 ottobre 2025
Giuseppe Verdi? Basta, riscopriamo i maestri dimenticati

(LaPresse)

4' di lettura

Dal Teatro alla Scala di Milano, al Teatro Massimo di Palermo, al Regio di Parma, al San Carlo di Napoli, si ha la sensazione che i cartelloni siano ripetitivi, con i soliti famosi titoli di Verdi, Puccini e Wagner. Spesso si trovano Rigoletto, Traviata, Trovatore, Tosca, L’olandese volante, La Valchiria. Chi scrive, l’altra sera, alla Scala, ha rivisto Rigoletto, nella regia interessante e, per certi versi, coraggiosa, di Mario Martone. La direzione musicale, a mio modesto avviso, è stata non brillante. Marco Armillato è un Maestro indiscusso, ma in tre ore di musica non ho goduto della partitura bellissima di Verdi, delle sfumature dell’orchestra prodigiose, della sublime vocalità dell’opera. Insomma, sono tornato a casa e ho riascoltato con gioia un vecchio vinile con le voci di Cornell MacNeil, Joan Sutherland, Renato Cioni, Fernando Corena, Cesare Siepi e Stefania Malagù, sotto la bacchetta di Nino Sanzogno e il Coro e l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia. Non avevo in casa l’interpretazione di Giulini, la migliore.

Cosa dire dopo un ascolto di un’opera così celebre alla Scala? Rigoletto dovrebbe essere il meglio della produzione. Queste opere celeberrime non dovrebbero dipendere solo dalla nuova regia, ma da una squadra di artisti e un Maestro brillante. Altrimenti siamo al livello del teatro di repertorio, come molti in Europa e in America, e non in un tempio della musica come la Scala. Eppure le date dal 10 al 25 ottobre sono sold out. Rigoletto, in qualunque modo, se si perde a Milano, lo si trova a Palermo, al Teatro Massimo, nella prossima stagione.
Speriamo in bene, povero Verdi!

Negli ultimi decenni, Die Walküre, il celebre secondo dei quattro drammi musicali che costituiscono - insieme a L'oro del Reno, Sigfrido e Il crepuscolo degli dei- la TetralogiaL'anello del Nibelungo, di Wagner, è l’opera più rappresentata in Italia. A scorrere i cartelloni teatrali italiani, da Venezia a Milano, sembra di essere nel Terzo Reich. Alla Scala, La Valchiria inaugurò, in tempi recenti, la stagione 1994/95 con direttore Riccardo Muti e la regia di André Engel e la stagione 2010/11 con direttore Daniel Barenboim e la regia di Guy Cassiers. Die Walküre è andata in scena anche quest’anno dal 5 al 23 febbraio 2025, con la regia di David McVicar.

È per chi se la fosse persa, con la stessa regia, ritornerà alla Scala dal 3 all’11 marzo 2026. Alla Scala, la serata inaugurale di domenica 7 dicembre, alle ore 18, si aprirà con Una lady Macbeth del distretto di Mcensk di Šostakovic. Un capolavoro, certo, ma un po’ indigesto per il grande pubblico. Io amo la musica del compositore sovietico (morto a Mosca esattamente cinquant’anni fa, il 9 agosto 1975), ma vorrei festeggiare il 7 dicembre con musiche non ancora ascoltate alla Scala, magari riscoprendo qualche “tesoro” italiano.

Ci chiediamo: perché il direttore artistico della Scala, insieme a quello musicale, hanno scelto un’opera così poco amata e soprattutto già sentita in più occasioni alla Scala? Avrebbero dovuto comunicare con i poveri flâneurs, frequentatori assidui del teatro, e ricercare: ovvero, non limitarsi alla grande programmazione, con i soliti titoli, ma esplorare i circuiti teatrali meno conosciuti e le rassegne minori per scoprire nuove realtà e nuovi autori. Magari con interpreti giovani. Invece di Šostakovicc o di Wagner, con regie già viste altrove, in Germania o in Francia, perché non ritornare sulle melodie di italiani? Alfredo Catalani, ammirato da Verdi, con l’opera Loreley? Abbado e Muti alla Scala non l’hanno mai voluta. Perché? Oltre al dimenticato Catalani, che è, invece, una presenza fissa nei cartelloni di altri Paesi, ci sono, ahimé, anche dei titoli di Puccini poco frequentati. È il caso dell’opera in tre atti La fanciulla del West. Di solito i teatri italiani seguono i grandi successi come Rigoletto, le opere di Wagner, il Don Giovanni di Mozart.

La tendenza è giustificata per attirare un pubblico più ampio, tralasciando produzioni meno conosciute ma di grande valore, come ad esempio La testa di bronzo di Carlo Evasio Soliva, su libretto di Felice Romani. Il melodramma eroicomico in due atti di Soliva fu un successo alla Scala nel 1816, l’anno di Stendhal e di Byron a Milano, l’anno “romantico” per eccellenza. Nessuno conosce Soliva in Italia.

Gli svizzeri, invece, per una sorta di orgoglioso atavismo (i familiari di Carlo Evasio erano originari del Canton Ticino) lo stanno riproponendo così da farlo conoscere a un grande pubblico di appassionati d’opera, grazie a una completa discografia e numerosi concerti. Perché non ripresentare le opere dell’italiano Soliva, come il capolavoro Giulia e Sesto Pompeo (rappresentato alla Scala nel 1818) o Elena e Malvina (rappresentato sempre alla Scala nel 1824) nei nostri teatri? Per non parlare delle opere rare, ma di grandissimo valore, di Gaetano Donizetti, Zoraida di Granata e di Saverio Mercadante, Caritea, regina di Spagna; le prime che ricordo, tra centinaia di opere da svelare. Insomma, basta Wagner. Non dobbiamo invadere la Polonia!