La vita va così. Il bis di Riccardo Milani ormai cantore sempre più convinto dell’Italia profonda e delle sue bellezze nascoste, ha aperto ieri la 20ª edizione della Festa del Cinema di Roma. Una commedia brillante che al rimando ai tempi che furono, sempre (e facilmente) romantico, unisce stavolta un messaggio inequivocabilmente dai toni ideologici color verde spinto. Salvare una spiaggia incontaminata della Sardegna, infatti, coincide con la battaglia anacronistica e decennale di un anziano pastore, oltranzista nel dire no alla volontà di una multinazionale milanese del mattone convinta a costruire un resort proprio su quei terreni, affacciati sul bellissimo mare del Sulcis, nei quali affonda le radici la famiglia del resistente Efisio Mulas, solitario custode di un tempo che non c’è più. La vita va così, insomma, spinge subito la grande esposizione cinefila romana (già accusata di strizzare un po’ l’occhio a posizioni proPal, visti i film in cartellone) anche su un altro caposaldo del politically correct: lo sfondo green del pensiero ecosostenibile e vagamente ambientalista, dove tendenzialmente i buoni sono tutti da una parte e i cattivi dall’altra.
METODO
A salvare molto ci pensa però, per fortuna, proprio l’inequivocabile talento registico. Una sfumatura che in conferenza stampa i suoi attori, in primis Virginia Raffaele, già protagonista del successo dello scorso anno Un mondo a parte, definiscono ormai “metodo Milani”. Capace di mettere le mani su una storia che, pare incredibile, ma è realmente accaduta, selezionando un cast praticamente perfetto. Sardo in larga parte. A partire proprio dal ruolo del pastore, interpretato dal sorprendente esordiente, Giuseppe Ignazio Loi, di appena 84 anni, fino al significativo cameo di Geppi Cucciari sul finale. Le posizioni che si contrappongono sono dunque quelle dei buoni - il pastore e la devota figlia Francesca (Virginia Raffaele) rivelatasi incredibilmente a suo agio persino con la lingua sarda contrapposti ai cattivi, l’imprenditore speculatore edilizio, bauscia milanese Diego Abatantuono e il suo capocantiere Aldo Baglio, protagonista di un gradevole ritorno sul grande schermo nella cui interpretazione non mancano i rimandi alla storica maschera del trio Aldo Giovanni e Giacomo, ma appare anche un volto nuovo e più maturo ben inquadrato nell’intreccio.
Quanto alla scrittura del film, il rischio di cadere nella banalizzazione dei cliché e delle posizioni preconcette è alto e indebolisce il racconto nel complesso. Forse perché il più convinto a rappresentare lo scontro tra posizioni è parso proprio lo stesso Milani che alla stampa ha spiegato come, per lui, il film non racconti solo un uomo, un pastore che ha difeso la sua casa, il suo territorio, la sua spiaggia, ma sia in realtà «la storia di una comunità che si è spaccata su questa vicenda, la storia del conflitto che c’è nel nostro Paese, ma non solo nel nostro Paese, diviso tra necessità di lavoro e rispetto del territorio». A uscire da posizioni così preconcette ci ha provato invece Abatantuono che, pur sottolineando come, in ogni caso si stia parlando di una commedia, sul tema centrale del film ha anche sviluppato un pensiero laterale. «Secondo me - ha concluso l’attore milanese - il fatto che il pastore vinca è relativo. Vince per chi la pensa così, ma chi doveva trovare lavoro non l’ha trovato. La storia probabilmente è bella proprio per questo motivo, perché la vita va così per ognuno è diversa».