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La lunga notte, infedeltà e imprecisioni storiche su Benito Mussolini

Marco Patricelli
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Una fiction non è un documentario, e pertanto non di rado il verosimile si sovrappone al vero per esigenze di sceneggiatura e la storia passa in secondo piano. La lunga notte del Gran Consiglio non fa eccezione, con qualche scivolata veniale e qualche svarione che con un pizzico d’attenzione si sarebbe potuto evitare. Singolare davvero la pletora di gerarchi e gerarchetti che si rivolge a Dino Grandi usando l’ossequioso “lei”, messo al bando dal fascismo e sostituito con il “voi”: quando c’era Lui, caro lei... Ma è nulla rispetto allo stesso Grandi che, a tu per tu con Vittorio Emanuele III, è raggiante per essere stato insignito del Collare dell’Annunziata e preoccupato per le sorti della guerra, e così l’ex ambasciatore a Londra (esperto di protocollo diplomatico) si rivolge al sovrano chiamandolo «Altezza» invece di «Maestà».

L’altezza era peraltro un argomento tabù per il penultimo re d’Italia, alto un metro e 53 centimetri, cosa che aveva imposto di accorciare la sciabola d’ordinanza (di qui il soprannome di Sciaboletta) e pure il minimo tabellare per non essere respinti alla visita di leva, in quanto il semplice soldato non poteva essere più alto del capo delle Forze armate. Altezza era invece il titolo esatto per il principe di Piemonte, un Umberto che sfoggia nel film tv una chioma che la natura gli aveva già impietosamente sfoltito. Un mandrillesco Benito Mussolini vorrebbe far fotografare la fucilazione dei generali felloni che non si sono battuti bene (e si sono arresi) in Sicilia, ma sarebbe stato quantomeno fantascientifico andarseli a prendere sull’isola conquistata dagli angloamericani.

PERSONAGGIO DI FANTASIA
La computer grafica ha regalato l’assaggio di un’incursione aerea su Roma affidata a tre sparuti bimotori a volo radente. Si dirà che la Capitale verrà bombardata solo il 19 luglio, e probabilmente erano aerei da ricognizione per individuare i bersagli, che però scattavano le fotografie dall’alto. Il povero capitano Furio Niccolai, personaggio di fantasia inserito nel contesto storico, viene pestato a sangue dai torturatori dell’Ovra, poi lo spediscono a casa dove fatica a salire le scale per le botte prese ma l’indomani si rimette la divisa e torna al reparto come nulla fosse. Funzionerà in tv ma non funziona nella realtà. Come, peraltro, lascia perplessi lo slancio passionale di un ingessato Eugen Dollmann che tenta addirittura di baciare sulle labbra Edda Ciano al cospetto dell’alta società romana e nazista. Improponibile, anche perché del raffinato colonnello SS “ad honorem”, mezzo spia e mezzo diplomatico, interprete di Hitler e intellettuale a tutto tondo, si diceva che come Federico II amasse più i sergenti giovani che l’abbraccio di Venere. Nella suggestiva ripresa aerea con i droni del Vittoriano non potevano mancare le bandiere tricolori al vento; il problema è che mancava al centro lo scudo Savoia, e nel 1943 l’altare della Patria dedicato a Vittorio Emanuele II non poteva che far garrire la bandiera monarchica.

 

 

Quanto al Gran Consiglio, la convocazione a Palazzo Venezia era stata decisa da Mussolini il 20 luglio (il giorno dopo il bombardamento di Roma) su richiesta di Roberto Farinacci e diramata il giorno dopo dal segretario del PNF Carlo Scorza. Si raccomandava espressamente ai gerarchi di presentarsi in «Divisa Fascista (Sahariana nera, pantaloni corti grigioverdi)». Testuale. Faceva un gran caldo e la sottolineatura era proprio per evitare fastidi e disagi con la normale uniforme. Il complottismo che trasuda dalla fiction fa leva su una visione semplificata del Gran Consiglio. Mussolini sapeva tutto e nonostante ciò fece votare l’Ordine del giorno Grandi che lo sfiduciava: lui probabilmente pensava di uscire di scena (scriverà poi a Badoglio di voler fare il pensionato, come nulla fosse accaduto), il fascismo di poter sopravvivere al disastro della guerra perduta sacrificando il Duce. Il vero complotto è quello che si compì alle spalle di tutti, con la monarchia che attese la leva costituzionale del voto del 25 luglio e poi mise a segno il vero colpo di stato con l’arresto di Mussolini a Villa Savoia. Il fascismo, liquefatto in un giorno, sarebbe risorto a settembre aprendo la parentesi drammatica della guerra civile. 

 

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