Venezia, 4 set. (Adnkronos/Cinematografo.it) - "Senza 'Arirang' non sarebbe esistito 'Pieta', film che rappresenta un nuovo inizio nel percorso della mia carriera". Aveva spaventato i suoi estimatori Kim Ki-duk, l'anno scorso a Cannes, quando presentò 'Arirang', straziante diario di un particolare momento della sua esistenza, caratterizzato da impasse creativa e profonda depressione. Ora Kim Ki-duk torna in Concorso a Venezia (otto anni dopo 'Ferro 3 - La casa vuota') con 'Pieta', finora l'opera in gara per il Leone d'Oro più applaudita dalla stampa, che Good Films porterà nelle sale italiane dal 14 settembre. "E' un film che vuole raccontare l'essenza umana, che vuole parlare di salvezza attraverso il recupero di determinati valori", dice il regista coreano. Il protagonista, Kang-do (Lee Jung-jin), è lo scagnozzo senza scrupoli di un usuraio: per recuperare i debiti dei poveracci non usa mezze misure, azzoppando e mozzando una mano al piccolo operaio o artigiano di turno. Sulla sua strada, però, un giorno troverà la misteriosa Mi-sun (Cho Min-soo), la quale con insistenza lo convincerà di essere quella madre che, 30 anni fa, lo abbandonò dopo averlo messo alla luce: il cammino verso il cambiamento, per Kang-do, è appena iniziato. Nel film emergono con forza molti elementi, dal perdono alla pietà che dà il titolo all'opera, senza dimenticare ovviamente il denaro: ne volevo condannare l'utilizzo perverso che molto spesso ne viene fatto nella società attuale", spiega ancora Kim Ki-duk, che ha girato e ambientato il film in una zona ormai povera di Seoul, da dove però prese il via il processo che ha portato la Corea ad affermarsi a livello tecnologico. "Ho vissuto lì tra i 15 e i 20 anni, lavorando come operaio -ricorda Kim Ki-duk- e lì sono nati i primi telefoni cellulari, i nuovi televisori. Oggi il posto esiste ancora ma tra qualche tempo sparirà, sostituito da imponenti grattacieli". Tradizione e presente: "Ogni mia opera si concentra su personaggi differenti, frutto di un'interpretazione personale che faccio nei confronti del mondo. Al mutare delle situazioni, mutano anche i personaggi che racconto", spiega il regista, che sintetizza il confronto tra lo spazio urbano rappresentato e i due protagonisti che lo abitano nel corso del film in questo modo: "Lo spazio è analogico, pieno di storia e con un passato che lo identifica, i due personaggi sono digitali, senza memoria, senza radici".