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Calvarese, il re degli arbitri arroganti: l'unico ad aver espulso il Var

Giulio Bucchi
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Nelle discussioni da Bar Sport - o meglio, "Var Sport" - non è stata finora considerata una variabile fondamentale, ovvero che nella fronda anti-Var potrebbero essersi iscritti di soppiatto anche coloro che il Var sono chiamati ad utilizzarlo in prima persona: gli arbitri. Come accade in politica, anche il partito dei direttori di gara potrebbe in larga parte seguire la linea indicata dal suo leader - quella pro-Var dei capi Rizzoli (designatore arbitrale) e Rosetti (responsabile del progetto in Italia) - ma avere al suo interno degli oppositori silenziosi, che a fari spenti insinuano dubbi tra i colleghi e quando tocca votare optano furbescamente per l' assenteismo. Potrebbe essere il caso di Gianpaolo Calvarese, il direttore di gara che nonostante la tecnologia continua ad arbitrare alla vecchia maniera e che così facendo si è palesato per contrasto come capo dei "ribelli". Il fischietto di Teramo è infatti insieme a Irrati l' unico a non aver mai usufruito del supporto tecnologico. Mai una volta nelle 8 partite finora dirette in A, nemmeno per controllare il braccio galeotto di Bernardeschi in Cagliari-Juve, nonostante quei secondi di attesa sembravano presagio di un dubbio. Una discrepanza notevole rispetto a Valeri e Mariani, che hanno fatto ricorso al Var più di tutti, rispettivamente 5 e 4 volte. Calvarese è tra l' altro l' unico a fare ambo con il mancato utilizzato dello strumento anche in qualità di "arbitro Var", quello di fronte al monitor in cabina di regia (in questo caso, il più attivo è Fabbri, con cinque decisioni corrette ai colleghi). Molti possono essere i motivi per cui alcuni arbitri non hanno accolto l' avvento del Var. Possono ad esempio pensare che la loro credibilità venga messa in discussione dalla tecnologia, perché la modifica al Var di una decisione sottintende un' ammissione di colpa. Possono essere permalosi, quindi non accettare la correzione di un collega. Oppure, come quelli che hanno dolore ad un piede ma evitano di sottoporsi ad una radiografia per schivare le cattive notizie, preferiscono evitare di fare i conti con un errore. In generale, per un arbitro che dopo la correzione del Var si rasserena, ce n' è potenzialmente uno che reagisce in maniera opposta. È come se la presenza dello strumento tecnologico abbia accentuato in alcuni la componente umana, anziché limitarla. Il paradosso è che, al netto della minoranza dei contrari a prescindere, la maggior parte degli appassionati sembra ora essere un passo avanti rispetto a questi arbitri anti-tecnologia. Perché ad alzare i polveroni ora non è più l' utilizzo del supporto di per sé, efficace o meno che sia, ma il suo mancato utilizzo. Sotto accusa finisce ormai solo la latitanza del Var, che a sua volta genera voglia di Var. Dunque, anziché tornare indietro, andrebbe piuttosto uniformato il suo utilizzo, eliminando i margini della "discrezionalità" (come il fallo di mano, per cui la discriminante è la volontarietà), dove gli arbitri oppositori ora vivacchiano, come Calvarese. Perché ad un' accusa di mancato utilizzo in questi casi, risponderebbero che non si tratterebbe di un episodio «non visto» o di un errore, ma di uno visto chiaramente e interpretato in una maniera reputata corretta. Intanto, al rientro dalla settimana di ferie, i vertici arbitrali ammoniranno i dissidenti, armandosi della "selezione naturale" che il Var naturalmente impone. Essendo infatti a tutti gli effetti uno strumento dell' arbitraggio, è ormai un parametro di giudizio che stabilisce le gerarchie. Un grande arbitro deve saperlo utilizzare. Chi invece non sa ancora maneggiarlo, o peggio, chi non ha alcuna intenzione di imparare a farlo, verrà automaticamente escluso. Tutto in nome del "sacro Var". di Claudio Savelli

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