Russia 2018, la fine del bullismo tedesco: perché la Germania è a pezzi
Quattro anni fa, all'indomani del fiasco al Mondiale in Brasile, comparvero articoli di questo tenore: «Italia, l'anno zero del calcio: per ripartire prendere esempio da Germania e Belgio». Quello che citiamo è il Fatto quotidiano, ma il pensiero dominante del pallone vissuto a sinistra (il piede mancino non c'entra) era, ed è, che più immigrati in squadra significano più vittorie. Che strano, però: l'esemplare Germania è già fuori dai Mondiali di Russia. Non avrebbe dovuto giovarsi delle sue politiche inclusive? Piero Fassino, uno che di pronostici se ne intende (chiedere ai 5Stelle) sentenziava dopo lo scempio azzurro con la Svezia che «il calcio va rinnovato. La Germania vince anche grazie allo ius soli», ricordando che nel 2000, dopo il duplice flop Mondiali-Europei, il governo di Schröder concesse la cittadinanza a migliaia di ragazzi nati da genitori immigrati. Da allora, la multietnica Germania è risorta e in Brasile ha raggiunto il culmine, ma non solo grazie all'apporto dei nuovi tedeschi integrati per legge. Lo ha fatto grazie al cocktail riuscito di esperienza e scelte corrette del ct Low (che in Russia ha sbagliato invece quasi tutto), che si era affidato sì a Boateng (origini ghanesi), Özil (turco) e Klose (polacco), ma soprattutto perché si era giovato di un piano di rilancio che prevedeva che gli scout federali tenessero d'occhio ogni anno 600mila ragazzini nei 366 centri di base distribuiti sul territorio. Eccoli i campioni: la capillarità di un'organizzazione che ai proclami (un classico italiano), unisce la praticità (essenza tedesca). Altro che il colore della pelle. Quello è bullismo mediatico. Leggi anche: Fassino, zimbello mondiale: il suo pronostico sulla Germania È chiaro come “ius soli=successo” sia un'equazione buona per i soloni. Nel calcio si vince grazie alle qualità tecniche, alle competenze tattiche, alla voglia di correre un metro in più dell'avversario e anche grazie a un po' di culo: su questo sarà d'accordo anche Fassino. di Tommaso Lorenzini