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Serie A, aria di derby. Cairo avvisa la Juve: "Il mio Toro scatenato"

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Il patron granata: "Questa squadra è come le mie aziende, abituata a lottare coi colossi. Conte? Ha fatto bene ad arrabbiarsi con Capello..."

Giulio Bucchi
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Meno di 24 ore al derby più importante per il Torino negli ultimi 19 anni. Tanti ne sono passati dall'ultima vittoria granata sulla Juventus. E mai da allora Toro e Signora erano stati così vicini in classifica. Eppure il presidente ribadisce il suo messaggio ai giocatori: «Non pensate al derby fino al fischio d'inizio». Presidente Cairo, ma come si fa a distogliere il pensiero dalla stracittadina? «Ho visto i ragazzi concentrati e sereni. Avevano lo sguardo di quelli che si stanno preparando nel modo giusto. L'importante è evitare le pressioni». Dal sesto posto si guarda meglio a una partita così? «È solo la fine di un percorso iniziato due anni e mezzo, vissuto con umiltà e voglia di imparare».  Non vorrà mica dire che si aspettava una stagione del genere? «C'era tanta fiducia come dimostrano gli investimenti: il riscatto di Cerci, l'acquisto di giovani come Maksimovic e Bellomo (ora in prestito allo Spezia, ndr) e gli ultimi arrivi di Tachtisidis e Kurtic. E poi abbiamo preso giocatori di esperienza come Bovo e Moretti, avevamo fiducia in Padelli e Darmian poteva completare la sua crescita fino a questi livelli». E poi c'è super Immobile. Come mai non è ancora in Nazionale? «Non voglio sponsorizzare un mio giocatore, ma Prandelli ha grandi qualità di visione: siamo in buone mani e farà quello che ritiene giusto. Ciro è un “toro” anche fisicamente, canta e porta la croce: fa gol e lotta, difende e riparte. È l'attaccante italiano più prolifico senza rigori (13 reti, ndr)». Starebbe bene in coppia con Balotelli? «Benissimo, ma anche Cerci. Sono “figli miei”: è evidente che abbia un affetto speciale per loro». Però Immobile è a metà con la Juve. «Ripeto, non sto pensando al derby (ride, ndr)». E allora guardiamo al campionato: la Juve è davvero così forte o ha ragione Fabio Capello nel dire che non c'è concorrenza? «Non è mai bello fare confronti col passato, soprattutto se si è coinvolti direttamente. La reazione di Antonio Conte è stata legittima».  Che cosa è cambiato invece rispetto al ko dell'andata? «Dall'inizio del campionato siamo passati alla difesa a tre e adesso abbiamo assimilato il nuovo modo di giocare». Guardando all'estate scorsa, avete fatto un affare a vendere Ogbonna? «No, Angelo è un giocatore fortissimo che deve solo recepire un modo diverso di allenarsi. Ma anche qui si lavora tantissimo, quindi non avrà difficoltà. Anche Llorente ci ha messo un po' ad ambientarsi. Ma Ogbonna ha fatto vedere finora il 50% del suo potenziale, dovrebbe solo giocare di più». Ventura a inizio stagione ha promesso che avrebbe battuto la Juve. Ha fatto male? «No no, allora eravamo lontani dalla partita (ride, ndr). L'ho conosciuto grazie a Petrachi: ha grandi competenze e da noi ha trovato il clima ideale. Non era mai rimasto così a lungo in un club nel calcio di alto livello. Quando mi chiede qualcosa so che è perché ne ha davvero bisogno e per questo lo accontento. Presto parleremo di rinnovo». Un'intuizione di Petrachi, dunque. È lui il suo colpo migliore? «Anche con Gianluca parleremo presto di prolungamento. È un ragazzo in gamba che sa di calcio. Con Ventura creano un connubio eccellente». E lei se la sente di fare una promessa ai tifosi? «Non ne faccio più. A volte le promesse genuine diventano sorprese amare». Delusioni, contestazioni, minacce di cessione: perché non ha mai mollato? «Quando acquistai il Torino, presi l'impegno di regalare qualche sorriso ai tifosi. Nel calcio ci sono momenti in cui devi imparare, accettare dei rischi e fare tesoro degli errori. Ma ho sempre saputo che con il lavoro si poteva fare bene in questo mondo». È questo insomma il Toro che sognava? «Da sempre nel mio mestiere combatto coi giganti. Adesso con La7 e agli inizi contro gli editori di carta stampata come Mondadori. Però quando ho lanciato “Di Più”, pur con mezzi inferiori e meno giornalisti, ho scoperto che si può competere ad armi pari. Serve entusiasmo e ottimismo. Nel calcio è uguale: abbiamo il fatturato che è un sesto di quello delle big, ma si gioca undici contro undici. Se ci si impegna a fondo, alla fine i risultati arrivano».

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