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Carlo Pinsoglio, tre scudetti alla Juventus senza giocare: storia di una carriera incredibile

Terzo, ma...

Tommaso Lorenzini
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Terzo portiere ma primo tifoso, idolo di curva e compagni. "Essere John Malkovich" sarà anche un bel film, ma "Essere Carlo Pinsoglio" è da Oscar. Tre scudetti, una Coppa Italia e una Supercoppa italiana tutti con la Juve pur avendo giocato solo due volte in tre stagioni: 117 minuti, una vittoria, un ko, tre reti subite. Più scudetti che presenze. «Lo prendo in giro dicendo che ha vinto quanto Totti», esclamava Wojciech Szczesny, il proprietario della porta bianconera, tre anni fa: bilancio migliorato perché allora Pinsoglio aveva un solo tricolore cucito sulla tuta.

 

Quasi come un novello Alessandrelli, il vice di Zoff che il campo non lo vedeva mai, anche Pinsoglio cresce nelle giovanili del club e si ritrova davanti un totem della Nazionale, Buffon. Nato il 16 marzo 1990 a Moncalieri, Pinso dai 9 anni fa la trafila fra i ragazzini fino a vincere la Supercoppa Primavera nel 2007 e il Viareggio nel 2009 e nel 2010 (votato miglior portiere): ed è proprio dalla squadra toscana che prova a spiccare il volo. Vari campionati in prestito in provincia fra B e C, gli screzi con Zeman che gli preferisce Anania e lo costringe a mollare il Pescara dei miracoli («Non sapevo se ne fosse andato, non mi ha salutato», disse caustico il boemo) per passare prima al Vicenza e poi due anni splendidi al Modena. Quando nel 2015 va al Livorno per puntare alla serie A, la carriera gli scivola dalle mani: la squadra non va, lui finisce in panchina e nell'ultima partita, subentrando a Ricci espulso, Pinsoglio combina la papera che manda in C i labronici dopo 15 anni.

Un gruppo di tifosi (meglio, imbecilli) lo picchia sotto gli occhi dei genitori e lo spedisce in ospedale. Ci vuole il Latina, sempre in prestito, per tornare a dare del tu ai pali, poi, nel 2017, con la la regola che impone di avere almeno 4 giocatori cresciuti nel vivaio, da Torino arriva una telefonata e la risposta di Carlo è ovvia: «Juve, Arrivo». Il ritorno a casa, a 27 anni, con la consapevolezza di non giocare mai, non ha però i contorni di una prigione dorata (guadagna meno di tutti, 300mila euro all'anno) quanto il privilegio di far parte di un pezzo di storia e l'apprezzamento dei compagni. Nella stessa estate arriva anche Szczesny, erede di Buffon, e il giudizio del polacco è netto: «Per diventare un campione ho scelto di seguire un esempio: Pinsoglio. Mi sono sempre detto "se riesco ad allenami con la sua intensità e la sua passione magari riesco a diventare bravo come lui"».

 

Un'amicizia nata fra fango e sudore, durante il lockdown si sono allenati a casa di Szczesny: «Ci diciamo tutto. Quando aveva tre capelli gliel'ho detto che era imbarazzante, ora sembra un Beatles». Merito di tale Cristiano Ronaldo, col quale è subito divenuto grande amico (Pinsoglio era l'unico della rosa alla festa dei 35 anni), che lo scorso anno lo ha spedito in una delle sue cliniche specializzate a Madrid dalla quale è uscito con una chioma invidiabile: «Lavoro splendido. Grazie di tutto, zioporco», scriveva Pinso su Instagram. Sul sito delle cliniche Pinsoglio non compare fra i calciatori testimonal, è rimasto in panchina anche lì: quando si dice il rispetto dei ruoli...

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