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Euro 2020, km percorsi? Tra i primi 100 c'è solo Jorginho: ecco il segreto del successo della Nazionale di Mancini

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Claudio Savelli
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L'Italia muove bene il pallone, infatti si muove meno degli altri. Nella lista dei primi cento faticatori dell'Europeo compare infatti un solo azzurro: Jorginho. Per paradosso colui che fa girare la Nazionale e che, in teoria, dovrebbe faticare meno, è anche quello che corre di più: vuol dire che il sistema di Mancini si regge sulla presenza del regista del Chelsea, che è in perenne movimento alla ricerca della posizione ideale in cui ricevere il pallone, oltre che direttore dell'azione di pressing. Vuol dire anche che gli altri sanno esattamente dove posizionarsi, attorno a lui.

 

 

Jorginho è sedicesimo nella classifica dei corridori con 31,1 chilometri percorsi in tre partite, in media 10,36 ogni 90'. Nemmeno tanti, di certo non oltre la media di un centrocampista qualunque, di gran lunga inferiori al russo Golovin, primo della lista a quota 36, dunque 12 in media a gara, circa il 20% in più. Mentre scriviamo manca qualche sfida all'appello per chiudere i gironi, i dati sono aggiornati quindi a ieri, ma le eventuali alterazioni hanno rafforzato la tesi iniziale per cui l'Italia corre poco perché fa correre il pallone, e al pallone è vicina quando lo perde, quindi il percorso per recuperarlo è sempre breve. L'Italia è anche un promemoria rispetto a cosa è davvero il bel gioco.

Non il calcio offensivo, né quello della corsa forsennata o dell'intensità a tutti i costi, ma quello in cui undici giocatori sanno esattamente cosa fare e lo pensano nello stesso momento. Il piccolo sforzo della Nazionale in campo è un lusso guadagnato con un enorme sforzo durante gli allenamenti. Sui campi di Coverciano, allenando come un mister e non come un commissario tecnico, Mancini ha allestito un meccanismo pressoché perfetto, dove cambiano gli addendi (i giocatori) ma non il risultato (il gioco, prima che la vittoria).

Nessuna Italia nella storia è stata così profondamente simile ad un club, inteso come organismo che si muove all'unisono, in fatti nessuna Italia era mai stata così prolifica - ha tentato 60 conclusioni nella fase a gironi, in media 20 ogni partita (dati Whoscored) più che in ogni altra competizione dal 1980 a oggi e più di tutte le altre nazionali dell'Europeo- e allo stesso tempo così solida - è infatti la squadra che ha subito meno tiri (solo 4), meno tiri nello specchio (solo 2) e che ha concesso meno "Expected Goals", cioè le potenziali occasioni da rete (0,05).

 

 

È vero che governare il pallone è sempre meglio che inseguirlo, il punto è che devi saperlo trattare per evitare di perderlo in zone pericolose. L'Italia sa farlo, il suo baricentro è alto ma le coperture preventive abbinate all'organizzata aggressione evitano scompensi. E soprattutto, il possesso è gestito in entrambe le sue due funzioni principali, ovvero come arma difensiva e di costruzione dell'azione: alle volte tenendo il pallone riesce ad anestetizzare il ritmo e gestire le energie, altre invece evita di specchiarsi (come accade ad esempio alla Spagna, che prima della goleada alla Slovacchia conduceva la graduatoria del possesso con un illogico 72,6% e un solo gol davanti al 58,8% degli azzurri) e lo usa come mezzo per raggiungere il fine del tiro verso la porta. Il risultato pratico è che l'Italia arriva riposata agli ottavi contro l'Austria (sabato alle 21) sia nei muscoli sia nello spirito. La condizione ideale, il miglior punto di partenza per la fase finale. Il punto, ora decisivo, è non pensare che sia sufficiente per vincere.

 

 

 

 

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