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Tokyo 2020, la trans Laurel Hubbard arriva ultima? Guai a usare il suo flop per trattare tutti alla stessa maniera

Fabrizio Biasin
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C'era questa gara di sollevamento pesi donne, categoria +87 kg, che era attesa come tutte le altre in quanto "olimpica", ma in questo caso anche di più perché vedeva la partecipazione di Laurel Hubbard, 43 anni, neozelandese nata Gavin e prima transgender in gara ai Giochi. Le polemiche pre-gara si sono sprecate: «Non è giusto, non ha senso, non si può». Le repliche andavano ovviamente nel senso opposto: «La cura per la transizione della Hubbard, iniziata nel 2013, ha azzerato i vantaggi legati alla densità ossea e muscolare».

 

Lei se n'è abbastanza fottuta di tutti, voleva solo partecipare, il Cio le ha dato la sua occasione che, però, non ha sfruttato a dovere. Subito tre errori perla neozelandese, ultimo posto ed eliminazione. Alla fine dei solleva la menti Hubbard era ugualmente felice: «Ringrazio il Cio per aver dimostrato il principio che lo sport è inclusione, ed è per tutti». Al suo ingresso in pedana molti avevano applaudito, ma non tutti. Alcune delle rivali non hanno nascosto il loro fastidio.

 

«La rispetto - ha detto la belga Anna Vanbellinghen - ma ribadisco la mia posizione: questo è un brutto scherzo». E, insomma, la faccenda non è semplice, da qualunque punto di vista la si analizzi. Se avesse vinto le avrebbero dato della «disonesta» e «bisogna impedire che si ripetano queste cose!», siccome ha perso è diventata l'appiglio perfetto per quelli che «avete visto? Zero vantaggi rispetto a chi è nato donna! Lasciamo che ognuno gareggi con chi vuole!». E sarebbe stata sbagliata la posizione degli intransigenti, ma è sbagliata pure quella di chi sta provando a sfruttare la sua brutta prestazione per far passare il messaggio che tutti i casi si possano trattare alla stessa maniera.

 

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