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Leo Messi al Psg, perché i francesi possono permetterselo: altro che Cristiano Ronaldo alla Juventus...

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Claudio Savelli
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Una delle conferenze stampa più banali della storia accompagna il trasferimento più grande della storia. Leo Messi si presenta a Parigi senza dire nulla di memorabile: «Sono felice di essere qui», da copione; «Non vedo l'ora di allenarmi», e ci mancherebbe; «Puntiamo alla Champions», e almeno si assume la responsabilità di cui i futuri compagni Neymar e Mbappé non si erano mai fatti carico. La frase più rilevante la pronuncia Al Khelaifi, presidente del Psg e portabandiera dello stato sovrano del Qatar che detiene il club e ospiterà i prossimi Mondiali: «Abbiamo seguito tutte le leggi del Fair Play Finanziario.

 

Avevamo la capacità di prendere Messi rispettando le regole e lo abbiamo fatto». Vero o falso? La verità sta nel mezzo. È vero che l'impianto finanziario del Psg è solido: la stagione della pandemia si è chiusa con 175 milioni di perdita ma i debiti con le banche sono pari a zero e il patrimonio netto era positivo di 324 milioni grazie alla ricapitalizzazione da oltre 300 milioni dell'azionista di controllo, la Qatar Sport Investments (QSI). 

È vero anche che il cartellino di Messi è costato zero e che le cosiddette spese accessorie per il procuratore, che in questo caso è il papà Jorge, sono state inserite nel bonus da 25 milioni alla firma, quindi non drogheranno il bilancio: peseranno quindi i 35 milioni netti per le prossime due stagioni ovvero circa 65 lordi vista l'aliquota del 45% in Francia, scorporati dagli eventuali bonus e dallo sfruttamento di una parte dei diritti d'immagine. È simile all'accordo che strappò la Juventus con Cristiano Ronaldo, ma con due vantaggi: la durata era di quattro anni (l'ammontare complessivo quindi praticamente doppio) e il costo del cartellino per i bianconeri non fu di 110 milioni al Real Madrid.

 

Per tamponare i 31 milioni all'anno di ingaggio, il portoghese è stato inserito in una serie di attività commerciali extra europee di FCA, azionista della Juve. Proprio come la QSI utilizzerà Messi per la promozione dei Mondiali nel suo stato, il Qatar. Altro discorso è il Fair Play Finanziario, secondo cui un club può spendere quanto incassa. Il Psg non aveva problemi e non ne avrà perché sfrutta alcune pieghe favorevoli. Il cosiddetto "break-even", equilibrio di bilancio, era stato raggiunto al 30 giugno 2020 nonostante i ricavi fossero diminuiti a 570 milioni dai 700 di un anno prima, proprio grazie alla ricapitalizzazione di cui sopra. Una manovra che possono permettersi i fondi sovrani come quello del Qatar e non quelli privati su cui la Uefa può vigilare perché rispondono alle regole del mercato. Certo, ne consegue che il rapporto tra stipendi e fatturato sfiori il 110%, e su questo il Psg dovrà garantire alla Uefa: probabilmente l'ha fatto con una previsione di ricavi che abbatterà la percentuale. 

La Uefa ha comunque allentato le maglie sul FFP nel giugno 2020, considerando non più un trienno per il pareggio di bilancio ma un quadriennio, dando modo ai club di "sforare" questa estate per "rientrare". Ma lo può fare solo chi ha liquidi come il Psg. In più non vuole fare la guerra ad Al Khelaifi (da cui ha ottenuto in cambio il distacco dallo sponsor Fly Emirates e altri minori legati al Qatar), il primo alleato nella lotta alla Superlega: una scelta politica che ora porta dividendi, tra cui Messi. Il veto imminente sugli ingaggi doveva essere posto dalla Ligue 1, che ha fissato un tetto salariale a 300 milioni che il Psg con i suoi 572 milioni di ingaggi attuali quasi raddoppia, ma pare che venga posticipato di due anni. Insomma, via libera a Messi, strada spianata al Psg e viva lo sport.

 

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