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Francesco Moser, clamoroso a 70 anni: "Cosa mi sono inventato pur di continuare a pedalare"

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Leonardo Iannacci
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Francesco Moser continua a pedalare. Non smette mai, anche se le pietre di Roubaix e i tic-tac di Città del Messico sono un riflesso dorato del tempo che fu. Va in bicicletta, ma fa altre mille cose nelle sue giornate che iniziano all'alba e si chiudono al tramonto: cura il podere, controlla le amate vigne, produce vini deliziosi come il "51.151" (vi ricorda nulla?) e porta in giro il proprio mito con leggerezza e orgoglio. Lo ha fatto in un libro prezioso e bello ("Un uomo, una bicicletta", Azzurra Publishing) nel quale c'è tutto un mondo, il suo e quello dello sport che ama. Di livello la narrazione di queste pagine, dalle prime pedalate a Palù sino alla gloria mondiale; eccelse le foto di Mimmo Fuggiano che hanno raccontato i flash di un campionissimo capace di vincere 279 gare, secondo soltanto a Eddy Merckx.

 

 

Testimone del tempo che fu, ma da sempre mago dell'innovazione applicata alla bici, il campione di Palù di Giovo ha realizzato ora la FMoser in collaborazione con Fantic Motor: «Si tratta di una bicicletta ibrida che racchiude due filosofie: pesando soltanto 7 kg e mezzo, può essere utilizzata sia in modalità tradizionale che con una pedalata assistita attraverso un motorino elettrico applicabile al telaio con una semplice operazione che dura 3 minuti. Il cambio è wireless e la app, scaricabile sullo smartphone, visualizza il lavoro del motore elettrico e un navigatore satellitare. Salite come il Bondone o il Mortirolo possono essere affrontate anche da chi non è allenato o da chi ha 70 anni come me. Perché, di fronte a certe pendenze, la forza magari c'è l'ho ancora ma sono i polmoni che battono bandiera bianca. FMoser viene venduta con un range di prezzo che va da 5.500 a 11.000 euro».

È un Moser sereno e meno aspro di quando correva, anche perché ha piallato tutte le spine con Saronni, feroce rivale del tempo che fu: «Con Beppe è tutto passato. Pace fatta. È venuto un paio di volte su a Palù, siamo andati a pedalare, ora ridiamo e scherziamo. Ci siamo detti: se ai nostri tempi avessimo litigato meno, anche per colpa dei giornalisti che sguazzavano sulla nostra rivalità, avremmo vinto il doppio. E poi tifiamo Inter entrambi».

 

 

Nel libro, la cui prefazione è di Bernard Hinault («Avevo pensato di farla fare a Saronni, ma sarebbe stato troppo scontato», sorride Moser) c'è il racconto di un'intera vita, piena e intensa, nella quale Francesco ha vinto molto, perso poco e mai solo partecipato: «Ho iniziato a pedalare a 5 anni, vedendo i miei fratelli Aldo, Diego e Enzo che correvano da professionisti. La vittoria più bella? Al Giro d'Italia 1984, lo inseguivo da 10 anni. La Roubaix? È il mio giardino, l'ho vinta tre volte di fila e potevano essere quattro: nel 1974, all'esordio, arrivai secondo per una caduta banale. Il Tour? Mai inseguito troppo, ma nel 1975 ho battuto Merckx e indossato la maglia gialla. Rimpianti? Un paio: il Giro delle Fiandre, mai vinto perché mi buttarono a terra, e il Mondiale del 1978 al Nurburgring quando Knetemann mi beffò in volata».

Il futuro del ciclismo è ora: «Pogacar è davvero un Cannibale, può diventare il Merckx del nuovo millennio anche se ha un fisico più da scalatore. Ganna può incidere nel marmo una carriera importante: la Milano-Sanremo di sabato 19 marzo è nelle sue corde, ma non deve tirare per gli altri. Ha detto che vuole battere quest' anno il record dell'ora, può farcela ma io aspetterei qualche anno. Di queste cose, un po' me ne intendo».

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