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Jacques Villeneuve, "così rendo il suo ricordo eterno": il gesto a quarant'anni dalla morte del padre

Leonardo Iannacci
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La Formula 1 non è soltanto tecnica e aerodinamica, cambi -gomme power -unit, e pit-stop e pit-lane. Sa avere anche un cuore e, in questi giorni caldi di Imola, ci tramanda una bella storia dalle radici profonde, insita nell'animo di un bambino diventato uomo: Jacques Villeneuve, il figlio del grande e mai dimenticato Gilles, idolo di un popolo che ama le Rosse e che ha preso d'assalto, in questi giorni, il circuito del Santerno sul quale si sono scritte pagine nobili delle corse. L'8 maggio prossimo saranno passati 40 anni esatti dalla tragedia di Zolder. Dall'incidente che ci privò di Gilles Villeneuve, volato via mentre inseguiva il sogno di essere più veloce della velocità, come aveva agognato in passato un altro cavaliere del rischio che portava il nome di Tazio Nuvolari. In Belgio, aggressivo e imprudente come non mai, cercando di oltrepassare i limiti dell'impossibile, il 32enne Gilles provò a battere, durante le qualifiche del Gran Premio del Belgio, Didier Pironi. Il compagno di squadra che l'aveva tradito a Imola, quindici giorni prima, soffiandogli la vittoria davanti al popolo rosso e rompendo un'amicizia fraterna in modo bieco.

 

 


Quel giorno in Belgio, inferocito per l'oltraggio di Imola, Gilles guidò senza limiti la 126 C2 Turbo e andò incontro alla morte. Per ricordarlo, Enzo Ferrari lo salutò con tre sole parole: «Gli volevo bene». Non lo aveva fatto per nessun'altro. Con sole 6 gare vinte in 6 anni di Ferrari, il piccolo canadese entrò nel mito. Un mito enorme e anche ingombrante. A tal punto che suo figlio Jacques, valente pilota negli anni '90, campione di Formula Indy, vincitore delle 500 Miglia di Indianapolis e del mondiale di Formula 1 nel 1997, per anni ha cercato di percorrere sempre e soltanto la propria strada, prendendo le distanze dalla leggenda paterna. Quando si parlava di Gilles, il volto di Jacques si incupiva nel ricordo del dolore per la perdita, ovvio, ma anche per sottolineare che lui era Jacques.

 

 


NEMESI
Ebbene, a quattro decenni da quel drammatico incidente di Zolder, ecco la nemesi psicologica: il figlio di Gilles ha seppellito antichi imbarazzi e lo ha fatto nascondendo sotto la sabbia quel macigno psicologico sopportato per decenni. Dopo la nascita del quinto figlio (nato a Milano lo scorso 27 gennaio), ha finalmente rispolverato il nome di Gilles. Non una decisione facile dopo aver cercato per annidi non essere accostato al celebre genitore. «Molti ragazzi di oggi non sanno chi è stato mio padre, non lo conoscono. Chiamare mio figlio Gilles, ricordare e tramandare quel nome, è significativo. Tra due settimane ci sarà la ricorrenza dell'8 maggio 1982 e, per il mondo, lui è stato un grande pilota, un personaggio, una leggenda delle corse e un mito per il popolo della Ferrari. Ma per il sottoscritto era soprattutto un padre, non un pilota. Per questo ho dato quel nome al mio bambino. Per amore».

 

 


ESIBIZIONE
Jacques, che in carriera non ha mai corso con una Ferrari ed è salito dieci anni fa su una Rossa uguale a quella che guidava suo padre per un'esibizione, e non per gareggiare, aggiunge: «Gilles ha ora due mesi e quando lo osservo mentre gioca con mamma Giulia mi piace pensare che proprio il nome che porta sia il modo migliore per ricordare suo nonno. Quando Gilles morì ero a casa, avevo appena 11 anni, di lui mi restano ricordi lontani e qualche bella fotografia. Grazie a mio figlio, che ha appena tre mesi, ho trovato il modo di proseguire la leggenda di un uomo prima che di un campione». 

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