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Mino Raiola, notizia della morte e smentita: cortocircuito, cosa è successo davvero poche ore fa

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E così, ancora una volta, i giornalisti sono passati per peracottari. Alle 13.30 di ieri, agenzie e siti web hanno battuto la notizia che Mino Raiola, il più potente e temuto procuratore del mondo del calcio, era passato a miglior vita. Neppure un'oretta più tardi, la secca smentita di Alberto Zangrillo, primario dell'Unità Operativa di Anestesia e Rianimazione del San Raffaele, dove Raiola è ricoverato per seri problemi polmonari: «Sono indignato dalle telefonate di pseudo giornalisti che speculano sulla vita di un uomo che sta combattendo» le parole di Zangrillo. José Fortes Rodriguez, braccio destro di Raiola, ha precisato: «Mino desta in condizioni gravi ma è ancora vivo e combatte». E un successivo tweet, riconducibile a Raiola stesso, ha aggiunto: «Sono arrabbiato, mi hanno ucciso 2 volte in 4 mesi. Sembra che sia anche in grado di resuscitare».

 

SCENEGGIATURA DA FILM
Difficile interpretare quello che è stato o quello che sarà nella vita di questo uomo che ha attraversato il calcio con l'aggressività e la spregiudicatezza di un ciclone boreale. «Un genio» secondo i tanti calciatori che ha assistito e fatto arricchire nel corso di tre decenni, «un ciccione con modi da mafioso» secondo Alex Ferguson, «un secondo papà» secondo Ibrahimovic (che ieri pomeriggio è andato a fargli visita in ospedale). La sua, d'altra parte, è una sceneggiatura da film. Non una vita. La leggenda metropolitana narra che Raiola abbia fatto il pizzaiolo sino ai 18 anni ad Haarlem, città nella quale la sua famiglia si era trasferita da Nocera Inferiore. Tuttavia Mino (il suo vero nome è Carmine) precisò ridendo: «Mai cotto una pizza in vita mia». A Raiola, difatti, è sempre interessato il business sin dai 19 anni quando il futuro "mister 10 per cento" del calcio acquistò un McDonald's per rivenderlo guadagnandoci. Fu allora che iniziò il mito delle plusvalenze di Raiola, il Paperon de' Paperoni di un calcio 2.0 che lui stesso avrebbe contribuito a sconvolgere.

Il solo Jorge Mendes, procuratore di Mourinho e di Ronaldo, è riuscito ad eguagliare la furbizia e la faccia tosta negli affari di questo uomo che si presenta alle riunioni d'affari in bermuda e polo slabbrata, sovrappeso e con modi arroganti più che spicci. Con sette lingue imparate nel suo girovagare da pirata del mondo, e una buona conoscenza di diritto, Raiola ha sempre sfruttato la deregulation economica varata dalla Fifa di Joseph Blatter nel 2015, scelta che ha reso il calcio un mercato di uomini.

Nella sua scuderia di campioni - eh sì, perché il Mino riconosce all'istante il cavallo giusto - sono via via entrati Nedved e Bergkamp, Robinho e Balotelli («Ti voglio bene, staystrongmino», ha scritto sui social Mario), Ibra e Pogba, e poi Lukaku e De Light, Donnarumma e Halland. Un asset stellare, quasi tutti purosangue per i quali la sua società, che ha sede fiscale a Malta, ha introitato il famoso "dieci per cento". Raiola ha anche ideato i celebri "mal di pancia" che colpiscono puntualmente i propri assistiti, scontenti di restare in un club e desiderosi di cambiare aria per dare vita a trasferimenti milionari.

 

L'AFFARE POGBA
Il top nel 2016 quando intascò 26 milioni di commissioni per portare Pogba dalla Juventus al Manchester United. Nel 2020 Raiola, che ha moglie e due figli, è stato inserito da Forbes al quarto posto nella classifica dei procuratori più ricchi, con entrate pari a 84,7 milioni di dollari e un giro di 847,7 milioni. Durissimo nelle trattative è anche rigido con i suoi rappresentati. Racconta Ibra: «La prima volta che lo vidi, al ristorante, era in jeans e t-shirt e con quella pancia enorme sembrava uno dei Soprano. Chi diavolo è questa specie di gnomo ciccione? Mangiò per cinque persone, tirò fuori un foglio e me lo lesse: Vieri, 24 gol in 27 partite; Inzaghi, 20 gol in 25; Trezeguet, 20 gol in 24, Ibrahimovic, 5 gol in 25... Credi che possa rappresentarti con una statistica del genere? Vuoi diventare il migliore? Vendi tutte le tue macchine, i tuoi orologi e allenati tre volte più duramente, ora la tua statistica fa schifo». Aveva ragione Raiola. Come sempre. Averlo, come procuratore di noi poveri giornalisti...

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