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Serie A, troppo entusiasmo: chi è rimasto fregato

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Claudio Savelli
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I cinquantaquattro giorni di astinenza dal campionato hanno generato in quasi tutte le squadre una dose abbondante di testosterone calcistico. Avevano tutte una dannata voglia di giocare, attaccare e segnare gol al punto da dimenticarsi le basi della fase difensiva - l'esempio più chiaro è l'Atalanta, costretta a rimontare lo Spezia. L'eccezione è l'Inter, che di attenzione alla propria porta ne ha avuta poca prima del Napoli, visti i 22 gol subiti nelle prime 15 gare. Un flagello. I nerazzurri, pur spinti dall'impressionante ruggito del Meazza tutto esaurito, cominciano la sfida con la capolista seguendo un saggio copione: attendere, studiare e capire, prima di aprire il gas. C'è finalmente Lukaku in campo (non era titolare dal 26 agosto), dunque si può allontanare la squadra dall'attacco e arrivarci attraverso qualche fiondata in più: meno fatica, insomma, ché per tamponare l'infinito fraseggio di qualità della capolista ci vuole ossigeno costante. La strategia di Inzaghi, seppur sia poco inzaghista, funziona. Il Napoli manovra, l'Inter produce occasioni: prima Dimarco, poi Darmian e infine proprio Lukaku si presentano davanti a Meret e sprecano.

 


Non è difensivismo né contropiede perché l'Inter quando può costruisce le azioni dal basso. La differenza è che percorre vie dirette, senza circumnavigare l'avversario. Infatti lo scacco matto arriva in sole tre mosse: Mkhitaryan apre per Dimarco che disegna per Dzeko che insacca. Rapido, fugace, indifendibile. Il Napoli perde e per la prima volta si dimostra vulnerabile. Ora bisognerà capire quale sarà la reazione: era l'unica a non aver ancora conosciuto una difficoltà. L'Inter, invece, svolta la sua stagione e quella di tutte le dirimpettaie: la rimonta è difficile, ma possibile.

 


La Roma si difende dopo l'1-0 in avvio perché non sa come attaccare. L'impressione è che i suoi tifosi, una volta smaltita la sbornia per l'arrivo e il successo di Mourinho, non si stiano divertendo se non per le giocate di Dybala e Pellegrini, i due giocatori da cui dipende ogni singola azione offensiva giallorossa. Il Mou-pensiero è simile a quello di Allegri, la cui squadra non a caso esordisce allo stesso modo: 1-0 alla Cremonese, sempre su calcio piazzato (Milik su punizione) soltanto segnato alla fine e non all'inizio. Paradosso vuole che senza gli uomini che il tecnico cita come "superiori", ovvero Di Maria e Paredes, la squadra vinca. Convince il Milan, la migliore delle grandi al rientro se la partita di Salerno fosse finita dopo un'ora di gioco. I rossoneri avevano bisogno della pausa più di tutte per spolverare qualche giocatore decisivo, su tutti Tonali. Il problema è che gli infortunati sono sempre troppi (8 stavolta) e la coperta è corta per Pioli: chi entra, abbassa il livello. Da qui nasce l'ultima mezz' ora brutta, stanca e sofferta. È ciò che patisce la Lazio che, tolto Milinkovic-Savic, si sgonfia e incassa la rimonta da un Lecce fino a quel momento domato. Una sola giornata e la classifica cambia volto. Le quattro di Champions davanti, le altre dietro. E il Napoli più vicino al campionato di tutti.

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