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Zlatan Ibrahimovic, il suo ruolo nella crisi del Milan

Claudio Savelli
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Il problema del Milan non è tattico né tecnico, perché non si diventa campioni d’Italia per caso e non ci si trasforma in ultimi arrivati all’improvviso. È mentale. L’aspetto in cui la squadra di Pioli eccelleva lo scorso anno, quando reagiva ad ogni assenza, infortunio o imprevisto senza colpo ferire, si è trasformato nel punto debole. Durante la Supercoppa è diventata evidente l’incapacità di reggere la pressione e, soprattutto, l’apatia di fronte alle difficoltà. Ora il problema è chiaro così come la sua genesi: la nuova difficoltà del Milan nasce con l’assenza di Zlatan Ibrahimovic. È la prima volta che il Milan non può contare sullo svedese come calciatore a tutti gli effetti ma le sue giocate in campo sono paradossalmente ciò che manca meno. È la sua presenza. Ibra in campo obbligava gli altri ad offrire il meglio, Ibra in tribuna obbliga a non farlo rimpiangere, con tutta la pressione che ne consegue e che si somma a quella generata dai risultati negativi. In più, il leader non è sempre presente a bordo campo perché impegnato a recuperare o a spianarsi la carriera dopo il ritiro. A Riad, ad esempio, non è andato per continuare ad allenarsi a Milanello.

VACANZA A MIAMI
Dieci giorni fa, quando la squadra si faceva rimontare dalla Roma, postava un video mentre correva sulle spiagge di Miami. Quando invece i campioni scivolavano a Lecce, sfilava sul tappeto rosso della prima del film Asterix & Obelix: Il regno di mezzo a Parigi, pellicola nella quale interpreta la parte del centurione romano Oneofus. Si dirà che anche lo scorso anno Zlatan era più fuori che dentro il campo. Ed è vero: 23 presenze in campionato più 4 in Champions delle quali appena 12 da titolare per 1167’ complessivi in campo. Pochi ma buoni per la presenza più che per i gol (8) e gli assist (3). A parte settembre 2021 e febbraio 2022, quando provò a curare il ginocchio, Ibra viaggiava con la squadra, viveva Milanello e le trasferte da giocatore, era dentro il gruppo e veniva riconosciuto come capitano emotivo e spirituale. Ora è invece una specie di assistente occasionale aggiunto allo staff tecnico.

È una sottile differenza che, però, fa la differenza. Nel momento di difficoltà, i compagni sapevano di poter contare sul contributo di Ibra. Ora invece sono consapevoli che non possa aiutare, dunque temono inconsapevolmente di non potercela fare da soli. Per una squadra giovane come il Milan è normale. Lo è meno che la difficoltà arrivi dopo uno scudetto vinto piuttosto che prima e una delle ragioni, appunto, è l’assenza di Ibrahimovic. L’errore a monte non è di Ibra ma della società che non ha dato il giusto peso alla sua assenza. Lo svedese non ha fatto promesse sul suo rientro («Ho deciso di operarmi per la mia salute, non per giocare. Tornerò quando starò bene, se starò bene») ma il Milan si è mossa come se fosse sicura di averlo a stretto giro. Avrebbe potuto cercare un leader sul mercato anziché inserire una manciata di giovani acerbi che ora non offrono il carisma necessario? La risposta è sì.

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