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L'Arabia compra il calcio, il vero piano dei sauditi: incubo-2030

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Daniele Dell'Orco
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Ogni voltala stessa storia. Paesi col sistema calcistico all’età della pietra, ma pieni di soldi che provano per ragioni politiche, diplomatiche e solo infine anche economiche ad attrarre grandi giocatori-testimonial a fine carriera con la promessa che «non sarà solo un buen ritiro». I primi a prometterlo furono gli Usa già negli anni ’80. Poi toccò alle esotiche parentesi in Australia, India e Giappone. Poi ancora fu il turno della Cina, che intendeva rivoluzionare il calcio come fatto col commercio online. Un fallimento epocale.

Ora è la volta del Golfo. Qatar, Emirati Arabi e Arabia Saudita nel corso degli anni hanno respinto tutte le accuse (fondate) di sportwashing, una strategia usata da governi che sfruttano lo sport per distogliere lo sguardo dalla pessima situazione dei diritti umani nel proprio Paese, e hanno iniziato un pressing non solo sulle stelle del calcio ma anche sui proprietari dei grandi club europei. Gli emiratini che hanno comprato il Manchester City hanno da subito puntato a creare una struttura per far aumentare insieme agli ingaggi offerti ai calciatori anche il valore del brand.

Il Qatar fresco ospitante dei primi Mondiali invernali della storia fece il suo gran debutto nell'industria del pallone acquistando il Psg e interloquendo su vari tavoli direttamente col governo francese. Ora c’è l’Arabia Saudita che seguendo l’esempio del Qatar punta all’assegnazione dei Mondiali 2030. E ad arrivarci con una squadra competitiva (a dicembre sfiorarono gli ottavi). Come? Acquistando campioni e allenatori per far crescere il movimento calcistico.

AMBASCIATORE
Un progetto che va avanti da molto tempo, e in cui è stato coinvolto anche Leo Messi, ambasciatore del turismo in Arabia e a sua volta sfiorato dalle proposte di ingaggio monstre che l’avrebbero riportato a rivaleggiare con Cristiano Ronaldo, arrivato nella penisola lo scorso anno per vestire la maglia dell’Al-Nassr a fronte di 200 milioni l'annodi ingaggio. Tra pochi giorni lo seguirà un ex compagno di squadra, nientemeno che il pallone d’oro in carica Karim Benzema, nuovo acquisto dellìAl-Ittihad. La lista dei giocatori che giocano, hanno giocato o che giocheranno in Arabia Saudita si sta comunque allungando giorno dopo giorno.

Tra questi, tanti ex della nostra serie A: David Ospina (Napoli), Felipe Caicedo e Bastos (Lazio), Ever Banega (Inter), Cristian Tello (Fiorentina), Odion Ighalo (Udinese), Robin Quaison (Palermo). Il grande pressing però il mondo arabo lo sta facendo sul Chelsea per provare a “svecchiare” un parco atleti composto da quasi tutti over 30 e puntare su calciatori ancora ultra competitivi anche in Europa. N’golo Kante è promesso sposo dell’Al Ittihad, l’Al Hilal sta convincendo Kalidou Koulibaly (ed ha già preso Ruben Neves dal Wolverhampton per circa 55 milioni), l’Al Ahli vuole il portiere dei Blues Edouard Mendy e l’Al Nassr di Ronaldo si sta per regalare il fantasista marocchino Hakim Ziyech.

Ma com'è nato quest'asse Chelsea-Arabia? Semplice. Il fondo statale saudita PIF (acronimo di Public Investment Fund), lo stesso fondo sovrano che ha acquisito e gestisce il Newcastle, ha acquisito il 75% delle quote azionarie dei quattro club più seguiti della Saudi Pro League, cioè tutti quelli menzionati poc’anzi. PIF ha investito anche in Clearlake Capital, un fondo di private equity che ha affiancato Todd Boehly nell’acquisizione del Chelsea dopo la fine dell’era-Abramovich. La nuova proprietà dei londinesi, che vuole sbarazzarsi di giocatori con ingaggi pesanti, può piazzarli con facilità proprio ai compagni di ventura sauditi. E il gioco, per nulla illecito, è fatto. Il questo turbine rischiava di rientrare anche Romelu Lukaku, che per ora ha rifiutato 50 milioni in due anni dall’Al Hilal. Non è l’unico ad aver detto no. Proprio Leo Messi ha preferito gli Stati Uniti, Luka Modric è rimasto al Real Madrid e Olivier Giroud vuole confermarsi perno del Milan. Il diavolo saudita, però, continuerà ad indurre in tentazione.

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