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Simone Inzaghi, la svolta del mister: Inter, quando è cambiato tutto

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Internazionale di nome e di fatto soprattutto grazie ad un uomo che di nome fa Simone e di cognome Inzaghi. È un rapporto virtuoso, lo è sempre stato, ma ora sta emergendo in tutta la sua forza. All’inizio è stato il club ad allevare Inzaghi, anche attraverso le sollecitazioni di Marotta che più volte ha messo alla prova il mister. Superato il crash test, Inzaghi ne è uscito più forte, migliore, praticamente completo. E ora sta restituendo quanto appreso con gli interessi: l’Inter che con lui non ha ancora vinto uno scudetto - e quest’anno pare piuttosto convinta di doversi e potersi redimere - è una delle migliori squadre in Europa, senza esserlo sulla carta.

C’è chi sostiene che non abbia un gioco adatto alla competizione continentale: sbaglia, ma il dibattito su questo fronte può anche essere accettato. Di sicuro non può esistere discussione sulla mentalità dell’Inter: più europea di così è stata forse solo nell’anno del triplete, e nemmeno in tutto (la svolta arrivò agli ottavi contro il Chelsea), se è vero che faticava a superare i gironi (come dimenticare il miracolo di Kiev). Questa Inter, invece, da tre anni approda agli ottavi in carrozza - e conquista pure l’accesso ai prossimi Mondiali per club dell’estate 2025, il primo a 32 squadre e con un montepremi da favola. Gli illustri predecessori non erano riusciti nemmeno una volta.

 

 

I PRECEDENTI

Spalletti nell’edizione 2018/19 aveva ottenuto 2 successi, 2 pareggi e 2 ko, niente ottavi e retrocessione in Europa League, ma aveva riportato il club nella competizione dopo cinque anni di assenza, dunque aveva un alibi. Conte nel 2019/20 chiuse terzo e l’anno seguente, quello dello scudetto, addirittura quarto, collezionando solo 3 vittorie, 4 pareggi e ben 5 sconfitte. Si dirà che l’Inzaghi nerazzurro ha perso una volta in più in Champions, sei volte, ma ha disputato 25 partite alla guida dell’Inter, il doppio rispetto a Conte. E poi le sconfitte vanno pesate: con Simone in panchina, i nerazzurri sono stati superati dal Real Madrid (due volte nel girone del primo anno), dal Liverpool (nell’andata degli ottavi 2022, l’unica partita che Inzaghi “vorrebbe rigiocare”, con il ritorno ad Anfield vinto 1-0 ma viziato dall’espulsione di Sanchez), dal Bayern (due volte, indolori) e dal Manchester City a Instabul. Insomma, solo due di questi ko sono costati qualcosa e comunque sono arrivati da soli avversari in quel momento superiori. Chiamatelo mister Europa perché oltre i confini è praticamente impeccabile. In quanto a vittorie in Champions, solo il Mago Herrera, che ha alzato la Coppa due volte (nel 64 e 65), ha una percentuale migliore di Inzaghi: 20 successi su 32 partite (62,5%) contro 14 su 25 (56%). Mancini (52,7%) e Mourinho (47,6%) sono dietro. E con questi ultimi, al netto dell’anno del triplete, il problema era proprio la mentalità europea per cui ora l’Inter si contraddistingue.

 

 

BASTA TIMORI

Ai tempi i nerazzurri dominavano il campionato ma in Champions si facevano piccoli e timorosi in relazione allo status di molti giocatori, mentre ora la maggior parte dei calciatori nerazzurri- vedi i capitani Lautaro e Barella, peraltro decisivi nella vittoria a Salisburgo - accumulano esperienza europea con la maglia dell'Inter addosso, così come Inzaghi non è arrivato a Milano da Mourinho, già vincitore di campionati e Champions altrove, ma sta acquisendo quello status dentro il club. C'è una differenza: se Josè all'Inter rendeva tutto più straordinario di quel che in effetti era, Inzaghi fa sembrare tutto incredibilmente semplice. Invece non è semplice giocare in Europa con una simile autorevolezza, non è semplice interpretare partite diversissime tra loro, non è semplice mantenere alto il livello facendo ruotare i giocatori, non è semplice trasformare le necessità di bilancio in virtù di squadra. Si può serenamente affermare che l'Internazionale è guidato dall’allenatore più internazionale d’Italia.

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